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VICTOR GISCHLER: La Gabbia delle scimmie (Meridiano Zero, pp.256, € 15,00; traduzione di Marina Rotondo e Carlo Prosperi)
 

VICTOR GISCHLER: La Gabbia delle scimmie

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“Imboccai la Florida Tumpike con il cadavere decapitato di Rollo Kramer nel bagagliaio della Chrysler, continuando a ripetermi mentalmente che avrei dovuto stenderci sotto un telo di plastica.”

 

Sentite come suona in originale: “I turned the Chrysler onto the Florida Turnpike with Rollo Kramer's headless body in the trunk, and all the time I'm thinking I should've put some plastic down.”

Sembra di ascoltare Jon Spencer con la sua Blues Explosion in forma smagliante. Ma non è il punk blues di Jon Spencer. Cosi scrive Victor Gischler da Baton Rouge, Louisiana. Autore di quattro romanzi, il primo dei quali è proprio La Gabbia delle scimmie (Gun Monkeys, uscito negli USA nel 2001), l’ultimo Go-Go Girls of the Apocalypse. Hard boiled di malavita, gente marcia e disgraziata, pistolettate, pugni in faccia, litri di roba da bere (preferibilmente Chivas, altrimenti whisky da quattro soldi per le situazioni d’emergenza) giusto per star su un’altra notte nello schifo del mondo. Se no come fai? Schiacci il grilletto. Schiacci il piede sull’acceleratore. Metti il turbo. Metti un altro caricatore e fai BUM! BUM!! BUM!!! E vaffanculo. Vampate di umorismo dark come nel cinema di Quentin Tarantino o nella serie a fumetti Preacher  di Garth Ennis e Steve Dillon. Cool. Abbastanza cool. E, sì, se ve lo state chiedendo, i debiti sono tanti, a cominciare da quello con gli zii James Crumley per la caratterizzazione dei personaggi ed Elmore Leonard per i dialoghi. Ma cercate di non pensare a questo. Né alla copertina bruttina che al massimo susciterà l’invidia di Andrea Pinketts. Pensate all’estate, e a letture più indicate per un pigro pomeriggio sulla veranda di una splendida villa abusiva a tre metri dalla spiaggia. Roba leggera, veloce, divertente. Insomma, non proprio  Alle origini della filosofia contemporanea. Wilhelm Dilthey. Antinomie dell'esperienza, fondazione temporale del mondo umano, epistemologia della connessione.

   Una Chrysler, dunque. E la Florida. E un tizio che si chiama Charlie Swift, quarantenne, di professione sicario sul libro paga di Stan, un vecchio gangster di Orlando, la città del Walt Disney World Resort, dell’ Universal Studios Escape e di Wesley ‘Quanto ti devo?’ Snipes. Clima subtropicale caldo e umido. Justin Timberlake dice di adorarla. Ma Charlie Il Sarto non è Justin e non credo che Madonna si sognerebbe mai di scambiare due chiacchiere con lui. Non con un soggetto poco raccomandabile che si ritrova con un mucchio di guai spalmati su 24 capitoli più un epilogo. BUM! BUM!! BUM!!! A Charlie, i casini piovono addosso come niente: rivali in affari, oppure piedipiatti. I Federali, addirittura. Come se non bastasse quel pezzo grosso di Miami che si è messo in testa di fare le scarpe al suo capo. E pensare che lui, Charlie, ha addirittura una fidanzata (Marcie, neanche lei è esattamente a posto) e si porta sempre dietro una vecchia copia del National Geographic (a ciascuno i suoi feticci).

   Bel ritmo. Buona storia di fughe, inseguimenti, cose che vanno puntualmente storte. Metti su Jon Spencer, o in alternativa i Detroit Cobras e hai la colonna sonora giusta. Gischler preferisce gli Abba (Uuuuhhh!) e Johnny Cash (adesso ragioniamo), ma chi se ne frega.

 

(J.R.D.)