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John Q di Roberta Pisani |
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Certa. Sono entrata al cinema a vedere John Q. Titubante. Sono uscita dal cinema dopo aver visto John Q. In mezzo… una Storia tragicamente reale, delle lacrime durate giusto lo scorrere della pellicola, o qualche minuto in più, delle riflessioni sulla giustizia di un padre e sull’ingiustizia di un sistema. Stavolta è toccato al sistema sanitario, specchio di un sistema sociale devoto al dio Denaro, osannato o disprezzato da personaggi più o meno umani, da attori più o meno bravi, da colori di pelle più o meno stereotipati. Mi chiedo come parlare di un film che, tutto prettamente americano, tratta tuttavia di un problema che va ben al di là dei confini USA. Se lo si fa con il cuore, e allora diciamo che nessuna lacrimuccia è sprecata e che la scelta del produttore è azzeccata. Se lo si fa con la testa, proiettata verso un senso critico cinematografico obiettivo e restio ad ogni etica della coscienza, diciamo che ancora una volta il sentimentalismo e il moralismo didascalico di certo cinema americano è più uno scagliare la pietra e tirare indietro la mano che non muovere un’accusa per raggiungere un obiettivo; o meglio, l’obiettivo c’è ma non pende dalla parte giusta. E allora, certa…del fatto che un disperato in un pronto soccorso, pur volendo ignorare il fatto che si tratti niente poco di meno che del favoloso (interiormente ed esteriormente) Denzel Washington, potrebbe rendere molto di più di una schiera di discepoli del già citato dio. Titubante … perché nonostante appesantita da un senso di rispetto nei confronti del tema trattato, torno sempre a pensare che le maniere indirette siano le uniche che centrano veramente il bersaglio; o almeno, applicate al cinema potrebbero essere una buona alternativa a nuove e strazianti serie compresse di “Medici in prima linea”.
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