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Lovely Rita

 

Regia e sceneggiatura: Jessica Hausner

Interpreti: Barbara Osika, Christoph Bauer, Wolfgang Kostal

Fotografia: Martin Gschlacht

Produzione: Coop99 Filmproduktion, Prisma Film, Essential Filmproduktion 

Distribuzione: Mikado

Nazione: Austria/Germania

Anno: 2001

 

Una storia di solitudine e malessere filmata in digitale: alla regia c’è Jessica Hausner, classe 1972, viennese. Con Lovely Rita conquista l’accesso al Festival di Cannes 2001 e conclude la sua prima piccola trilogia, cominciata con il corto Flora (1996) e con il mediometraggio Inter-View (1999).

Un film non facile per una giovane autrice di talento che della costruzione di un cast di non-attori ha fatto finora il suo marchio di fabbrica.  Questa è la storia di Rita, giovane adolescente in disarmonia con la famiglia, le compagne di scuola e tutto il resto ("ma allo stesso tempo, la differenza fra il protagonista e gli altri personaggi non è poi così grande: tutti quanti, in fondo, soffrono questo grande problema, la solitudine" afferma la regista). Il senso di estraniazione, di freddezza e d’impotenza verso la vita è restituito con grande forza: paesaggi e ambienti freddi vengono ulteriormente svuotati ed irrigiditi dalla scelta di usare una fotografia piatta, tipica del digitale, dove il buio si rafforza di un’oscurità insopportabile e la luce evade da ogni possibilità di conforto. E poi c’è uno sguardo diretto sulla famiglia, sulla fragilità e la difficoltà di saldare rapporti veri e profondi all’interno di essa, con il merito della Hausner di evitare la distribuzione delle colpe e gli sproloqui morali sulla natura del malessere sociale.

Brava nel montaggio (durato ben nove mesi), la regista sa filmare e sfruttare in maniera consapevole la nuova natura del cinema digitale, non abbandonandosi mai inutilmente alla precarietà gratuita delle riprese a mano, usando in maniera funzionale ed efficacemente espressiva la filosofia dello zoom e sapendo sempre ben scegliere gli oggetti e le persone su cui posare lo sguardo: ne esce fuori un bel primo lungometraggio, forte di un pessimismo lacerante e profondo.

 

Antonello Schioppa