|
|||||||
RICETTE D’AMORE di Giorgio Giliberti |
|||||||
|
|||||||
-Essere consapevoli che il cinema ed il cibo sono due elementi seduttivi che si prestano a combinarsi tra loro, come abbiamo visto in film dagli esiti alterni (Il Pranzo di Babette, La Carne, Paura d’amare, Big Night, Chocolat); -raccontare la scoperta dei sapori della vita da parte di una donna, padrona dell’arte culinaria ma estranea al piacere e all’amore; -indagare con sensibilità la comunicazione non verbale tra gli uomini, attraverso il cibo come avviene nel film o tra attori affiatatissimi che parlano lingue diverse come avviene sul set; -manipolare in maniera sorprendente e divertente gli stereotipi delle diverse nazionalità; -mescolare con abilità dosi uguali di humor e malinconia; -montare le immagini sul ritmo delle deliziose note di Keith Jarrett, Arvo Part e David Darling con spruzzatine di Dean Martin, Paolo Conte e Louis Prima; -E infine chiudere un’opera, tutto sommato classica, che soffre un po’ della provenienza televisiva dell’autrice, con un finale splendidamente aperto. Questa é la ricetta filmica del primo lungometraggio cinematografico di Sandra Nettelbeck, una commedia sentimentale fresca e gradevole che ci dimostra una volta di più che la leggerezza è la vera forma della profondità. Il film si avvale inoltre di un ottimo cast, su tutti un’intensa Martina Gedeck ed un istrionico Sergio Castellitto, specializzato ormai, dopo Va Savoir, nei ruoli dell’italiano all’estero. Ed è molto bello l’utilizzo che la regista tedesca fa dei cliché italici. In una sequenza insieme delicata e divertente, Castellitto usa un piatto di spaghetti per aprire il cuore e lo stomaco della nipote della protagonista, che si rifiuta di mangiare. È sicuramente uno stereotipo, ma, in quel gesto, c’è anche un elemento di semplicità, di essenzialità, che le mamme del sud conoscono molto bene. Le madri italiane, infatti, esprimono amore verso i propri figli, forse più con il cibo che con le parole. Nel porgere il piatto alla bambina, Castellitto esprime quella consuetudine tutta italiana del " toccare le cose"; forse meglio di altre culture sappiamo anche toccare i sentimenti. |