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Resident Evil |
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Solito ‘incidentè di laboratorio, solito casino da ripulire: il burlone di turno ha sparso un virus creato in vitro (a scopi militari, che altro?) provocando una mutazione nei pacifici impiegati al servizio della Umbrella Corporation. Gente già incarognita dalle angherie dei boss, dalla routine di tutti i giorni nel claustrofobico spazio di una cittadella nascosta 600 metri sottoterra, onesti padri di famiglia dal colletto della camicia inamidato, brave segretarie...ordinary people, insomma. Li immagini deprecare gli eccessi di Marilyn Manson, definirlo un depravato, un pessimo esempio per la gioventù americana, salvo poi vederli all’attacco, vivaci come pitbull sulle note dei brani scritti appositamente dal Reverendo per la colonna sonora. Uno spasso! Fosse stato per loro, il film avrebbe dovuto chiamarsi (P)Resident Evil e sfoggiare sulla locandina la faccia da nerd ultramiliardario di Bill Gates (pensate: ufficialmente la Umbrella si occupa di computers). Poi c’è Alice (nomen omen): ha perso la memoria e non ricorda quasi niente del suo passato. Schegge brevi, nient’altro. "Ho sfilato per Chanel? Ho recitato accanto a Bruce Willis? Ho sposato Luc Besson? Sono stata Giovanna D’Arco? Sono mai stata grassa?"
Chi ha combinato il casino? Il sospetto è che tutto sia partito da quelli del movimento No Global. Poco male: vediamo come funziona questo virus, se c’è qualcosa da migliorare per renderlo più potente. Il primo punto a favore di Resident Evil riguarda il sollievo che si prova uscendo dal cinema. Paul Anderson (quello di Event Horizon e Mortal Kombat, non il Paul Thomas Anderson di Boogie Nights e Magnolia) è riuscito – non si sa come, poiché non è Carpenter e neanche Romero – a dirigere un piccolo film dal budget enorme. Non un capolavoro, piuttosto una pellicola che, pur appartenendo dichiaratamente al nuovo filone cinematografico (parola d’ordine: sfruttiamo all’osso comics e videogames), se dovesse riscuotere un successo planetario aprirebbe di sicuro un varco proprio al George Romero che da anni cerca finanziamenti per realizzare il quarto capitolo della saga dei morti viventi (titoli provvisori: Dusk of the Dead o Twilight of the Dead).
Paragonato al resto del luna-park (X-Men; Star Wars- Episodio II, Spider-man) Resident Evil è un baraccone che si lascia guardare, tra buoni movimenti di macchina, un inizio in crescendo, un finale classico (anche questo carpenteriano) che ovviamente mette in allerta lo spettatore: non è mica finita qui, c’è il sequel. In altri tempi e in altre mani, Resident Evil avrebbe trasudato trippa e sangue in dosi extra, ma i vecchi tempi sono lontani e persino Wes Craven ha provato a giocarsi la carta mainstream assoldando Meryl Streep. Anderson merita una medaglietta al valore per l’impegno profuso nel dosare gli effetti speciali e nell’aver preso ripetizioni dai maestri dell’horror che fu. (V.L.)
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