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QUELLO CHE CERCHI di Marco Simon Puccioni |
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Come sottolineato unitamente da "giovani" e "vecchi" in conferenza stampa, certi muri del cinema sembrano destinati ad essere abbattuti come e più di quello di Berlino, senza rimpianti per il passato. Alcune politiche di mercato faticano ad agganciare i desideri del pubblico mentre le potenzialità inespresse da questo mezzo sono ancora notevoli, rinvigorite oltretutto dal sempre crescente sviluppo e disponibilità delle tecnologie digitali, dagli scambi culturali sempre più numerosi e frequenti tra autori e paesi, dalle sinergie collaborative di tutti i reparti professionali. Esattamente come dimostrato da questo film dove si contano ottimi, "caricati" tecnici e interpreti tra cui il simpaticissimo e carismatico Marcello Mazzarella (nel ruolo di Impero, il protagonista), una fascinosa e speciale Stefania Orsola Garello (Rosa, già nel nostro mirino fin da "Portami Via" di Gianluca Tavarelli), il giovane Antal Nagy nel ruolo del diciannovenne Davide (uno giusto, perfetto per naturalità e distacco dal personaggio), l'utile e fantasioso apporto del direttore della fotografia Paolo Ferrari (che ha miscelato con sapienza diverse tecniche di ripresa) e dell'autore delle musiche Cristiano Fracaro: tutti presenti alla proiezione e tutti assieme, oltre i significativi spazi che si ritagliano singolarmente, anche il giusto strumento per un regista ai fini dell'esposizione della vera vita dei nostri giorni, così dominata dentro l'animo e sulla strada da ormai quotidiani interfacciamenti col moderno meccanico, digitale, genetico, estetico, di relazione. Ma il lavoro di Puccioni, volutamente e riuscitamente "stonato" nel coro di banalità e vecchi miti che ancora oggi (nel 2002!) certo cinema ci vuole ammannire (magari proprio le ultime balle spaziali e le storielle di omini mascherati di questi mesi), gode soprattutto di un ottimo respiro poetico-filosofico tipico del cinema underground italiano anni novanta di cui sembra far sacro tesoro per proiettarsi verso un felice sposalizio di coraggio e sicurezza nel raccontare, flirtando con certi sperimentalismi VHS (quelli sicuramente più freak o d'avanguardia diretta) dei circoli d'arte indipendenti e delle rassegne "invisibili" a sostegno di una sincera voglia di liberarsi dagli schemi, senza drammi, senza forzature. Ciò è di buon auspicio poi per una maturità magari più strutturativa e di rifinimento, attraverso la quale il regista potrebbe davvero "esplodere" in un massimale artistico di notevole apporto per il panorama italiano ed internazionale. Non possiamo che augurarcelo, naturalmente, nonostante il suo modulo espressivo viva già bene di questi numeri, per intendersi. Soprattutto questo suo primo lungometraggio riesce appieno nel gioco magico operato spesso dal cinema: la "macchina" delle idee e delle impressioni dei sensi, ricevute dal mondo, restituite più belle di prima agli spettatori, e in un solo fiato. Al Sacher poi tira una dolce aria di entusiasmo da parte di tutti quelli che ne sono stati soggetti attivi (e forse, al di là della riuscita del "prodotto" film, questo è ciò che conta di più nell'attività umana del raccontare, di qualunque mezzo mediatico si faccia uso) e anche noi non possiamo fare a meno di rimanerne rapiti e catturati, forse con lo stesso tipo di coinvolgimento che Impero prova per la vita di Davide, trovandosi catapultato in un mondo selvaggio, casuale, appassionato, a volte inspiegabile, a tratti violento e romantico, invariabilmente attraente come è quello dei giovani di ogni tempo. Da vedere. http://www.quellochecerchi.it/homepage.htm Andrea Capanna
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