Mi è capitato di recente
di parlare in pubblico di Jay McInerney e di Bret Easton Ellis. La mia
platea era composta in prevalenza da ragazzi italiani sui
venti-ventiquattro anni, livello universitario, classe medio-alta. Tra
loro, nessuno aveva mai sentito i nomi di questi scrittori (beh, a dirla
tutta, è andata buca anche con Tondelli, Aldo Nove e addirittura Stefano
Benni, giuro!). Ho provato con i titoli delle loro opere più famose,
tirando fuori dal cilindro Le Mille luci di New York per il primo
e (ça va sans dire) American Psycho per il secondo: buio completo
anche lì. Superato il momento di sconforto, scacciati i demoni che
continuavano a sussurrarmi di lasciar perdere, tanto in Italia non legge
più nessuno, etc. ho fatto un bel respiro e sono andato avanti. Ho
spiegato ad esempio che McInerney, talentuoso allievo di Raymond Carver,
raggiunse la fama nel 1984 con il suo primo romanzo, tutto raccontato
attraverso l’uso della seconda persona. Era la storia di un giovane
aspirante scrittore trasferitosi a New York dal Massachussets: mollato
dalla moglie Amanda, depresso, alcolista e cocainomane. Da quel libro,
nel 1988, James Bridges trasse poi un film meraviglioso e purtroppo
sottovalutato con Michael J. Fox nei panni del protagonista e Kiefer
Sutherland in quelli di Allagash, il suo diavolo tentatore.
“Ah”, ho aggiunto
speranzoso, “c’era anche Phoebe Cates…ve la ricordate?” Facce smarrite.
Nessuna risposta. Ok., è anche vero che (fonte Wikipedia), qualche anno
fa l’attrice lanciata da Paradise ha aperto una boutique sulla
Madison Avenue a New York e pare si sia ritirata dalle scene.
McInerney – diciamolo
a voce alta - non è Dan Brown, non è Stephenie Meyer e neppure Sophie
Kinsella. Pur tra i suoi alti e bassi (Good Life, il suo romanzo
del 2006 era debole quanto Si spengono le luci del 1993), questo
americano nato ad Hartford, Connecticut, nel 1955, appartiene a buon
diritto al club dei migliori romanzieri viventi. Insieme al suo grande
amico Ellis, ovviamente.
La Bompiani ha mandato
da poco in libreria la sua ultima raccolta di racconti, un mix di cose
vecchie e nuove che si apre con alcune pagine tratte da Le Mille luci
di New York e prosegue con un viaggio ironico, caustico, amaro nelle
vite quotidiane di personaggi inventati ma terribilmente verosimili.
Dean e Susan, ad esempio, protagonisti di Steccati Invisibili:
una coppia americana (ma potrebbe essere benissimo italiana), la
scoperta di un tradimento, la trasformazione di Dean in un cuckold,
ovvero un uomo che spinge la propria partner a fare sesso con altri
uomini in sua presenza. La gag del cane che morde lo stallone nero
chiamato a prendersi cura della signora fa sorridere ma non riesce a
smorzare il retrogusto doloroso che attraversa per intero la novella. La
verità è che Dean e Susan si sono smarriti e non riescono più a tornare
indietro; forse hanno la consapevolezza di non avere altra strada
davanti se non quella che prevede una visione nuova, insolita,
sicuramente priva della tenerezza di un tempo. Una metamorfosi, insomma.
Non la prima né l’ultima all’interno di un libro straordinario sui
nostri difetti, sulle nostre paure, sui drammi familiari (la famiglia
senza madre ne La Madonna nel giorno del Ringraziamento).
McInerney è uno
stregone che pratica l’arte magica di intrappolare il lettore una parola
dopo l’altra. È un gigante che nelle sue pagine riesce a far parlare
uomini e donne che hanno toccato il fondo: personaggi credibili, mai
figure bidimensionali. E, sì, sarebbe bello se i ventenni di oggi
mollassero un po’ il telefonino per mettersi a leggerlo.
(N.G.D’A.) |