Hugues Pagan è uno
scrittore che non concede consolazione. I suoi personaggi sono ambigui,
tormentati, contraddittori. Se pure hanno remore morali, rimpianti,
rimorsi, niente di queste cose impedisce loro di vivere e agire sul filo
di una equivocità che risulta, alla fine, affascinante.
Il giallo classico di
Doyle, Christie sembra remoto, con le sue scatole a combinazione che
restaurano un ordine rassicurante. Ma anche l'hard boiled
classico è superato, con
i suoi eroi cinici ma, alla resa dei conti, integri.
Qui non si esce dalle
nebbie, né si ripristina un ordine: anzi, è proprio l'ordine, la verità
ufficiale che si fa inquietante. Il personaggio è un giornalista, ex
poliziotto, che si è ritirato in provincia, dove il passato lo
raggiunge, sotto le spoglie di una vecchia fiamma che gli annuncia la
scomparsa del suo migliore amico, coinvolto in grossi traffici. Da
quella visita la tranquillità che pensava di aver conquistato, le
certezze della sua vita diventata quasi routine, a poco a poco si
liquefanno.
In questo libro, il
primo polar pubblicato di Pagan, si ritrovano molti dei temi dello
Hugues Pagan successivo (Quelli che restano, a esempio).
Innanzitutto, il Jazz, l'alcool, una certa America che sappiamo essere
nel cuore dei francesi. Ma, soprattutto, la corruzione del potere,
l'intrinseca malvagità dell'ordine. Poliziotti peggiori dei delinquenti
che dovrebbero perseguire, e con probabilità di gran lunga più alte di
restare impuniti. Non esistono buoni e cattivi o, meglio, non esiste un
confine netto che separa le due cose, una divisa che garantisce che da
quella parte si è al sicuro. Gli amici covano segreti che ci riguardano,
i nemici, che rimangono nell'ombra, in fondo ci accordano punti di
riferimento. L'eroe non è puro e senza macchia, ha frequentazioni
quanto meno discutibili, vanta crediti in ambienti equivoci. I fatti
sono determinati da moti browniani di interessi, passioni che si
incrociano, si scontrano, si sospingono a vicenda. Non c'è una logica,
così come non può esistere la "soluzione". Cosa si troverà "In fondo
alla notte"? Nessuna catarsi, nessuna nemesi. Al massimo - per alcuni -
un'altra flebile chance.
Il romanzo prende e
sorprende, mantenendo una buona tensione dall'inizio alla fine. Se gli
si vuole trovare un difetto, probabilmente è il manierismo. Pagan forse
paga un tributo troppo alto al genere (va bene tutto, ma non è un po’
caricaturale una Ford V8 nella provincia francese?) ma, considerando
che è il suo primo
romanzo, gli si può perdonare.
Nota a margine:
Viviamo in un eterno presente. L'ultimo libro pubblicato è
sempre il migliore - va
da sé, è il mercato. La letteratura è una merce, va venduta, certo. Ma
perchè fare il torto allo stesso Pagan, cazzo, definendo questo "il
miglior Pagan di sempre"? Non era più onesto e corretto dire "il
sorprendente esordio di H. Pagan" o "l'opera prima di un grande del
polar"?
Ferdinando Manzo |