“Poi rimase solo il buio
senza stelle.” Con questa frase si chiudeva Confine di Stato,
primo volume di una trilogia dell’Italia sporca oggi giunta al secondo,
imponente tassello. Un commiato e al tempo stesso un preludio a
Settanta, quel buio senza stelle, quella notte infinita carica di
sinistri presagi: cosa accadrà adesso al Paese? Quanto sangue scorrerà
ancora?
Nell’affrontare
un’opera più grande e complessa, ricca di sottotrame che scorrono l'una
accanto all'altra senza mai intrecciarsi veramente, Simone Sarasso ce
l’ha messa tutta per non deludere le aspettative di chi, un pugno di
anni fa, aveva apprezzato quel romanzo ambientato tra il 1954 ed il
1972: anni di delitti, di intrighi, di sanguinari burattinai in un
teatro verosimilmente italiano (“Verosimile, forse, ma reale no. Non
sono reali i personaggi né le cose che accadono.”, precisa l’autore).
Uno sforzo che rende sorprendentemente agevole la lettura di quasi 700
pagine fitte di personaggi e avvenimenti singolari: bombe e bombaroli,
banditi, terroristi, servizi segreti, magistrati col pallino di trovare
il bandolo di una matassa sempre più intricata, sempre più oscura.
Siamo negli anni di
piombo e l’atmosfera generale assume necessariamente toni più dark
rispetto al tomo precedente. È il decennio della vulnerabilità, di una
drammatica ascesa della paura come canone ineluttabile per l’uomo della
strada. Al cinema trionfa il poliziesco all’italiana (o ‘poliziottesco’,
come ebbe a liquidarlo con tono dispregiativo una certa critica
dell’epoca) di Steno, Castellari, Lenzi e Girolami; del populistico
commissario Betti, interpretato dal Maurizio Merli. Le parole che
ricorrono più spesso sulle pagine dei quotidiani e nei notiziari
televisivi sono ‘guerriglia’, ‘rapimento’, ‘scontri’, ‘disordini’,
‘attentato’. Dal Giambellino, periferia sud di Milano si è fatto strada
‘Il bel Renè’, ovvero Renato Vallanzasca, passato dal taccheggio alla
rapina a mano armata, ai sequestri di persona, agli omicidi: la sua
leggenda criminale attraversa tutta l’Italia, scuote l’opinione
pubblica. Poi c’è la politica: si respira non solo nei luoghi
istituzionali ma anche in fabbrica, nelle università, per le strade
della nazione. A Brescia, il 28 maggio del 1974, un’esplosione toglie la
vita ad otto persone nel corso di una manifestazione sindacale in Piazza
della Loggia. La notte del 4 agosto dello stesso anno, a San Benedetto
Val di Sambro, in provincia di Bologna, c’è la strage del treno Italicus,
l’espresso Roma-Monaco di Baviera. Ascrivibile ad una organizzazione
terroristica di ispirazione neofascista. Parte di ciò che si è soliti
definire ‘strategia della tensione’.
In acque così torbide,
Andrea Sterling, autentica incarnazione del Male, è un feroce predatore
che si muove nel suo elemento naturale: riavvolgendo di poco il nastro,
lo ritroviamo con le Beretta alla cintura e una Marlboro in bocca,
pronto a prendersi tutto, la sera dell’8 dicembre 1970, data che nella
nostra storia reale corrisponde al golpe Borghese (o golpe
dell'Immacolata), tentativo di colpo di stato predisposto con la
complicità di deputati missini da neofascisti guidati da Junio Valerio
Borghese, anticomunista, ex membro della Repubblica Sociale Italiana
(famosa una sua intervista del 1971 alla televisione svizzera nella
quale sosteneva la necessità di "sterminare" tutti i comunisti italiani
i quali, a suo modo di vedere, costituivano un "eterno pericolo").
In qualità di
strumento umano dell’opzione repressiva, Sterling è un mastino che ha
fatto carriera: la sua capacità di eccellere nell’arte di separare,
disgregare, ristabilire il controllo ha portato l’ex degente di un
ospedale psichiatrico (senza mezzi termini, un pazzo furioso) nella
stanza dei bottoni. E, inutile sottolinearlo, nel ginepraio dei misteri
italiani e delle sterzate assolutistiche (modello sudamericano), con le
sue maligne fantasie legate all'instaurazione di uno stato di polizia
tricolore, Sterling ci sta una bellezza: è un Freddy Krueger che, tanto
per fare un esempio, può turbare i sonni del giudice Domenico
Incatenato, uomo del sud che dalla fame e dal duro lavoro in fabbrica
riesce a farsi strada nell’ambiente della magistratura milanese. Se il
caparbio Incatenato si occupa delle bombe a Catanzaro e dei nessi tra
criminalità organizzata e terrorismo di destra, Sterling architetta un
piano perverso per mettergli guinzaglio e museruola.
Ammiratore di James
Ellroy e di Giancarlo De Cataldo, Sarasso dimostra ad ogni libro di
avere una strada propria, una voce, uno stile. È un fan dei generi, non
solo letterari ma anche cinematografici e fumettistici. E sta diventando
sempre più bravo nel gestire atmosfere e lingua dei personaggi,
nell’evitare i cliché (qui dei ’70 arriva l’odore, non l’iconografia
conclamata e abusata). Quasi settecento pagine senza sbavature: una
corsa con l’acceleratore a tavoletta tra piombo, sangue, orrori di
stato. La sua stella sta avanzando come un bulldozer.
Nino G. D’Attis |