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SIMONE SARASSO: Settanta (Marsilio, pp. 694, €21,50)
 

Simone Sarasso: Settanta

Ordina da iBS Italia

“Poi rimase solo il buio senza stelle.” Con questa frase si chiudeva Confine di Stato, primo volume di una trilogia dell’Italia sporca oggi giunta al secondo, imponente tassello. Un commiato e al tempo stesso un preludio a Settanta, quel buio senza stelle, quella notte infinita carica di sinistri presagi: cosa accadrà adesso al Paese? Quanto sangue scorrerà ancora?

   Nell’affrontare un’opera più grande e complessa, ricca di sottotrame che scorrono l'una accanto all'altra senza mai intrecciarsi veramente, Simone Sarasso ce l’ha messa tutta per non deludere le aspettative di chi, un pugno di anni fa, aveva apprezzato quel romanzo ambientato tra il 1954 ed il 1972: anni di delitti, di intrighi, di sanguinari burattinai in un teatro verosimilmente italiano (“Verosimile, forse, ma reale no. Non sono reali i personaggi né le cose che accadono.”, precisa l’autore). Uno sforzo che rende sorprendentemente agevole la lettura di quasi 700 pagine fitte di personaggi e avvenimenti singolari: bombe e bombaroli, banditi, terroristi, servizi segreti, magistrati col pallino di trovare il bandolo di una matassa sempre più intricata, sempre più oscura.

   Siamo negli anni di piombo e l’atmosfera generale assume necessariamente toni più dark rispetto al tomo precedente. È il decennio della vulnerabilità, di una drammatica ascesa della paura come canone ineluttabile per l’uomo della strada. Al cinema trionfa il poliziesco all’italiana (o ‘poliziottesco’, come ebbe a liquidarlo con tono dispregiativo una certa critica dell’epoca) di Steno, Castellari, Lenzi e Girolami; del populistico commissario Betti, interpretato dal Maurizio Merli. Le parole che ricorrono più spesso sulle pagine dei quotidiani e nei notiziari televisivi sono ‘guerriglia’, ‘rapimento’, ‘scontri’, ‘disordini’, ‘attentato’. Dal Giambellino, periferia sud di Milano si è fatto strada ‘Il bel Renè’, ovvero Renato Vallanzasca, passato dal taccheggio alla rapina a mano armata, ai sequestri di persona, agli omicidi: la sua leggenda criminale attraversa tutta l’Italia, scuote l’opinione pubblica. Poi c’è la politica: si respira non solo nei luoghi istituzionali ma anche in fabbrica, nelle università, per le strade della nazione. A Brescia, il 28 maggio del 1974, un’esplosione toglie la vita ad otto persone nel corso di una manifestazione sindacale in Piazza della Loggia.  La notte del 4 agosto dello stesso anno, a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, c’è la strage del treno Italicus, l’espresso Roma-Monaco di Baviera. Ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista. Parte di ciò che si è soliti definire ‘strategia della tensione’.

   In acque così torbide, Andrea Sterling, autentica incarnazione del Male, è un feroce predatore che si muove nel suo elemento naturale: riavvolgendo di poco il nastro, lo ritroviamo con le Beretta alla cintura e una Marlboro in bocca, pronto a prendersi tutto, la sera dell’8 dicembre 1970, data che nella nostra storia reale corrisponde al golpe Borghese (o golpe dell'Immacolata), tentativo di colpo di stato predisposto  con la complicità di deputati missini da neofascisti guidati da Junio Valerio Borghese, anticomunista, ex membro della Repubblica Sociale Italiana (famosa una sua intervista del 1971 alla televisione svizzera nella quale sosteneva la necessità di "sterminare" tutti i comunisti italiani i quali, a suo modo di vedere, costituivano un "eterno pericolo").

   In qualità di strumento umano dell’opzione repressiva, Sterling è un mastino che ha fatto carriera: la sua capacità di eccellere nell’arte di separare, disgregare, ristabilire il controllo ha portato l’ex degente di un ospedale psichiatrico (senza mezzi termini, un pazzo furioso) nella stanza dei bottoni. E, inutile sottolinearlo, nel ginepraio dei misteri italiani e delle sterzate assolutistiche (modello sudamericano), con le sue maligne fantasie legate all'instaurazione di uno stato di polizia tricolore, Sterling ci sta una bellezza: è un Freddy Krueger che, tanto per fare un esempio, può turbare i sonni del giudice Domenico Incatenato, uomo del sud che dalla fame e dal duro lavoro in fabbrica riesce a farsi strada nell’ambiente della magistratura milanese. Se il caparbio Incatenato si occupa delle bombe a Catanzaro e dei nessi tra criminalità organizzata e terrorismo di destra, Sterling architetta un piano perverso per mettergli guinzaglio e museruola.

   Ammiratore di James Ellroy e di Giancarlo De Cataldo, Sarasso dimostra ad ogni libro di avere una strada propria, una voce, uno stile. È un fan dei generi, non solo letterari ma anche cinematografici e fumettistici. E sta diventando sempre più bravo nel gestire atmosfere e lingua dei personaggi, nell’evitare i cliché (qui dei ’70 arriva l’odore, non l’iconografia conclamata e abusata). Quasi settecento pagine senza sbavature: una corsa con l’acceleratore a tavoletta tra piombo, sangue, orrori di stato. La sua stella sta avanzando come un bulldozer.

 

Nino G. D’Attis