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CLEAN |
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Quello di Assayas è un cinema che parte dal basso per poi approdare alle cose alte della vita. È un cinema che, seppur segnato da un certo intellettualismo tipicamente francese, a guardar bene ha come unico scopo il racconto della verità emotiva che appartiene a tutte le vite del mondo. Clean si muove entro due dimensioni parallele ma fortemente complementari. Un mondo “normale” da cui Lee Hauser (James Johnston) è fuggito, quello dei genitori che stanno crescendo suo figlio, ed un mondo alternativo, quello della musica underground e delle società discografiche, dove Lee ha cercato se stesso senza mai riuscirvi. Emily Wang (Maggie Cheung), compagna e madre di suo figlio, sembra invece essere uscita dal nulla, il suo passato è e rimarrà un’incognita, il presente ed il suo futuro gli indiscussi protagonisti di questo film. Entrambi eroinomani, vivono nell’arte senza essere particolarmente dotati, e per quanto tentino di rincorrere il successo, il loro è l'estremo e simbolico tentativo di mantenersi vivi, assecondando quella sensibilità artistica verso la vita che indubbiamente gli appartiene. Assayas non è mai stato banale, evita accuratamente la solita manfrina sul rocckettaro autodistruttivo, e presto lasciato a Lee Hauser il destino di un Jim Morrison qualunque, si concentra sulla vita di Emily, una sorta di Yoko Ono dei poveri, con un lascito di debiti piuttosto che un patrimonio da spendere comodamente sdraiati sotto una palma, e per di più, moralmente accusata della morte del proprio compagno. A questo punto, è il tentativo di Emily di mantenersi in vita entro binari che non le appartengono l’interesse del regista, la dura lotta della disintossicazione, della ricerca di un lavoro e di quella “normalità” che la società richiede per consentire l’abbraccio con il proprio figlio. È la terra del compromesso, della redenzione, per qualcuno della maturazione, l’ambito in cui i due mondi, quello dei genitori di Lee e quello della gioventù bruciata, entrano in un dialogo che non prevede né vincitori né vinti ma solo fantasmi che barcollano tra l’istinto e la ragione. Un cinema profondo che fa leva su personaggi dalla psicologia complessa e che vengono tratteggiati da Assayas con la dovuta umanità. Di forte impatto emotivo soprattutto i momenti che vedono come protagonista il bambino, l’innocente vittima di eventi causati da personaggi che nessuno, tanto meno il regista, ha voglia di condannare. Cinema classico che ha nella Nouvelle Vague il padre supremo, è ispirato dallo sguardo truffautiano verso il cinema/vita ma è anche debitore di molti maestri e troppe immagini. Atteggiamento questo che se in passato, coadiuvato e contrastato dall’entusiasmo giovanile, rappresentava per Assayas un interessante punto di partenza, oggi, appare più come l’adagiamento su una linea di traguardo mai varcata. Si ha l’impressione di aver visto un gran bel film ma, purtroppo, anche un cinema fortemente ancorato a qualcosa di già visto. Il cinema oggi ha bisogno più che mai di nuovi pionieri coraggiosi e sfacciati, di registi che nei fatti rinneghino i propri maestri. Il futuro non è da queste parti, Clean è una limonata ghiacciata in un pomeriggio afoso, un godimento istantaneo che termina con la scritta fine. In ogni caso, strepitosi Maggie Cheung e Nick Nolte (Albrecht Hauser).
Davide Catallo |
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