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KILL BILL Volume 2 visita la gallery |
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Addio Bill, grande romanticone. L’ora è scoccata, s’impone la resa dei conti e tu, in fondo, prima ancora che un mastodontico figlio di puttana, sei un uomo d’onore, un cavaliere d’altri tempi. Come Q&U, la ditta che ha sognato questo lungo, bellissimo sogno in due volumi di pura, finissima celluloide. Tu morto, io folgorato in poltrona fino all’ultimo titolo di coda, un attimo prima della sorpresa piazzata lì a dirci che valeva la pena rischiare faccia, reputazione, tutto: per il cinema questo e altro. “In fondo Tarantino è solo al quarto film, chissà cosa potrà mai fare in futuro”, come dice David Carradine. E poi (l’ho già scritto da qualche parte, ma repetita juvant, sometimes) Kill Bill è già storia, manuale di regia, personale antologia poetica dedicata a Fulci, Leone, Antonioni e a tutti gli altri giganti che hanno aiutato l’ex topo di videoteca a credere in un mestiere così difficile. Kill Bill è il furto con scasso truffautiano dei manifesti di Citizen Kane ripetuto nel nuovo millennio per amore e desiderio di oltrepassare il ‘No trespassing’ piantato lì a separare il mito dal resto del mondo. Una cosa da bambini, proprio come il gesto della piccola B. B. che spara alla mamma con la sua pistola giocattolo nel momento stesso in cui i due segmenti che Bill ha diviso, finalmente si ritrovano. THE BRIDE When will I see you again? BILL That's the title of my favorite soul song of the Seventies. Si comincia in bianco e nero, nei pressi di Hitchcock e Grace Kelly: la Sposa è al volante di una bellissima decappottabile e ricorda a se stessa e a noi il massacro della cappella nuziale Two Pines compiuto dalla Squadra delle Vipere Mortali. Quel giorno per lei così tragico è un film con Samuel L. Jackson nel ruolo dell’organista vestito di nero che sostiene d’aver suonato con un bel po’ di gente famosa passata da quelle parti. Nel film (o, se, preferite, nello script di Bill, poiché questa è sostanzialmente una storia d’amore e morte immaginata da un Bill ispirato da Elmore Leonard e Joe Lansdale), lo sposo è un ragazzone biondo che per campare ha un negozietto di dischi usati, il reverendo è lo svedese Bo Svenson, ex marine e da noi attore con Corbucci e Valerii, l’ombra sul portico della chiesa è quella di uno spietato assassino dal cuore spezzato. Quando Bill e la Sposa si incontrano, è già Duello al sole o un Via col vento con un po’ di C’era una volta in America nel DNA. Rhett e Rossella, Noodles e Deborah...come in un gioco di scatole cinesi, un intrecciarsi di rimandi, chiavi di lettura, meravigliosi sottotesti dove protagonisti e comparse hanno lo stesso spazio e disorientare, confondere, sorprendere, risultano essere (ancora) i comandamenti fondamentali. Così, se un film è un fatto anche sonoro oltre che visivo, se l'occhio vede le immagini e ne ascolta i suoni, in Kill Bill 2 la sepoltura della Sposa (claustrofobica, garantisco) è la nostra; la colonna sonora che accompagna ogni passo, ogni occhiata dolce o dura di Uma Thurman ci appartiene e ci sono dentro Johnny Cash, Morricone e la Goodnight Moon di Shivaree, perché Bill, la vecchia pellaccia, non vuole farci mancare proprio niente. Dolce accecamento amoroso: come un John Zorn con la macchina da presa al posto del sax, Tarantino è artefice di un ampio spettro di sistemi formali e di nuove arie narrative che si ispirano a materiali (non solo cinematografici) anteriori. Fagocita Paura nella città dei morti viventi (1980) e il kung-fu movie Cinque dita di violenza (con Lo Lieh, da noi arrivò nel 1973) e li risputa per evocare in registri diversi ciò che ama da sempre riuscendo a stento a contenere un’ipertrofia narrativa che fa da contrappeso alla sua scarsa prolificità. Ogni tassello/omaggio è perfetto, basta guardare la luce di ogni sequenza, i movimenti della macchina da presa. A proposito di tasselli: sembrano destinate ad una versione director’s cut o comunque agli extra del cofanetto che includerà i due volumi, alcune scene rimaste in sala di montaggio (tra le quali spicca un combattimento all’arma bianca tra Carradine e il campione di arti marziali Michael Jay White nei vicoli di Pechino). Aspetteremo. L’opera vista ora al cinema è maestosa, talmente bella che non ci sono davvero parole per descriverla. È un film che stupisce e commuove, cancella i file-film non necessari visti negli ultimi sei mesi e recupera spazio nella memoria di chiunque ami il cinema ricordandoci altresì che un grande cineasta ha tra i tanti meriti possibili anche quello di riconsegnare al pubblico attori straordinari e apparentemente dimenticati: ieri Travolta e Pam Grier, oggi Daryl Hannah e Carradine. Grazie, Bill. Grazie, grazie, grazie…
Nino G. D’Attis |
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