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LAVORARE CON LENTEZZA, ORA CHE ALICE È IN PARADISO |
Sono ancora stordito dai suoni, dai colori, dalle emozioni che questo film (italiano ma bello, anzi, esportabile, una mosca bianca!) mi ha suscitato. La frase del fesso mi riporta di colpo sul pianeta terra: a questo siamo arrivati. Tilt completo: ecco cosa succede a correre troppo, a praticare tutto quel cazzo di zapping. La memoria di una nazione a puttane. E se tra 25 anni (o anche meno) a qualcuno venisse in mente di fare un film ambientato a Genova nel luglio del 2001...pura fiction?
Settantasette senza luoghi comuni, fuori dall’insensato marciare nel furbo
revival, dall’ovvietà-feticcio di forme e fantasmi fenomenologici.
Settantasette per “Quelli che preferiscono l'ironia alla nostalgia”, come ha
scritto Guido Chiesa. Se la sfida era questa, il team formato dal regista di
Alice è in paradiso e i Wu Ming ha
funzionato come un orologio: lancette riportate indietro per una storia che
dal primo all’ultimo minuto non smette di parlare del presente obbligandoci
a vedere piuttosto che ad illuderci. Vedere Sgualo
e Pelo, figli del quartiere
Safagna, periferia bolognese, intenti a scavare un tunnel nelle fogne che
non porterà da nessuna parte (non ai soldi del caveau, almeno) ma li aiuterà
a scoprirsi meno soli con l’aiuto delle voci, delle canzoni che vengono
fuori da una radiolina a pile piazzata lì sottoterra. Vedere a
"Radio come spazio bianco da scriversi giorno dopo giorno". Il Diavolo in via del Pratello 41, probabilmente. Una efflorescenza di invenzioni animate da uno spirito dadaista: manifesti, slogan, vignette, deliri, bisogni. Cosa “d’altri tempi”, allo stesso modo in cui legato a modi inattuali di mettersi insieme/progettare/realizzare ci appare oggi (erroneamente, poiché chi opera in gruppo e senza allineamenti sul web ha in realtà raccolto almeno in parte il testimone) il circo delle meraviglie, delle sfrenate possibilità de Il Male, Cannibale e Frigidaire. Sgualo e Pelo scavano anche per noi. Uomini talpa reduci dal fallimento di una vera rapina col buco sventata da un metronotte, ragazzi pasoliniani-godardiani (del Pasolini della Trilogia della Vita, del Godard di Il Bandito delle ore undici) dentro un cinema non stupido, una suite filmica pensata come una suite musicale eseguita da un coro (gli studenti del Movimento, le famiglie che aspettano un segno dal PCI, i vecchietti del bar, etc.). Le armi appese a un filo che passa da un lato all’altro della strada: emblema di una generazione criminalizzata. L’eroina che addormentò molti cervelli si intravede solo per pochi secondi ma lascia il segno, riportando a certe pagine del libro di Scòzzari Prima pagare, poi ricordare. Le barricate all’università. Il sesso delle compagne. The Pope smokes dope e "A forza di andare all’assemblea, mi è venuta la diarrea". Fa ridere, commuove, (ri)mette in gioco l’importanza vitale della pratica dello sberleffo, di un oltraggio continuo al lavoro morto, alla vita frenetica (oggi, più di ieri, per non morire oggi stesso o al più tardi domani col cuore spappolato dallo stress).
“Ettiamo Mariù...” Nino G. D’Attis Le foto di questa pagina arrivano da: http://www.marzo77.it/ |
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