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The woodsman - Il segreto |
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Tante volte basta quella locandina per decidere di investire su quel film. Pure se è la storia di un pedofilo e magari avresti bisogno di qualcos’altro. Perché nell’unica oasi della giornata vorresti qualcosa tipo Mi presenti i tuoi o The Aviator, una roba insomma che ti prenda e ti scaraventi lontano dall’agendina verde tipo tavolo da poker che la banca ti ha regalato. Per The woodsman è così. Ti basta la faccia assorta di Kevin Bacon sul manifesto del film. Con quei capelli spettinati e il look un po’ malmesso. Mentre fissa una palla rossa che tiene stretta tra le mani. E alle sue spalle uno sfondo onirico, inquietantemente fiabesco, con quegli alberi trasfigurati e quella luce strana. Il taglio di questa storia, che è una storia che fa un po’ male (perché non è una storia qualunque, ma una storia che cristallizza migliaia di storie vere), è tutta in quest’immagine. La trama è quella di un uomo che è appena uscito di prigione. Il suo nome è Walter. Pena: dodici anni per aver avuto approcci sessuali con delle ragazzine dodicenni. Il ritorno alla libertà gli riserva un lavoro da operaio, una piccola stanza, una finestra che si affaccia (ironia della sorte) su una scuola elementare, e una grossa sfida con se stesso: “guarire” per non tornare di nuovo dentro. Il punto: quest’uomo è il nostro eroe. A lui vogliamo bene. Per lui trepidiamo. In lui, in qualche modo, ci immedesimiamo. Ma senza dimenticarci chi è, e perché lo condanniamo. Sapendo che, sottilmente, abbiamo paura di lui. Come avevamo paura del lupo di quella favola che ci raccontavano da piccoli. Il film ha due momenti chiave: il confronto tra Walter e un poliziotto, e il dialogo nel parco tra Walter ed una bambina. Due momenti bellissimi per la semplicità con i quali si inscena un conflitto straziante, drammatico, che ci ingabbia sia dentro la debolezza del carnefice, sia dentro la paura della vittima. Portandoci a vedere questa storia da una prospettiva strana, fastidiosa, spiazzante. Che va oltre il tema in questione. E raggiunge la dignità di un viaggio dentro il male che ogni uomo si porta dentro. Lo stesso lato oscuro che le fiabe ci raccontano, con la leggerezza dei simboli, delle metafore e delle distinzioni chiare. è così che Nicole Kussel, regista esordiente, riesce in un film complicatissimo. Chiudendoci a chiave dentro i corridoi privati di uno che tutti chiamano mostro. Ma senza aprirci nessuna porta. Lasciandoci sull’uscio ad ascoltare. A metà tra il chiasso della strada e il silenzio delle stanze. Applicando ad uno stile sobrio e scarno, fatto di pedinamenti e di quotidianità spiata, l’impronta invisibile di una fiaba nera. Così come fece Sean Penn, ma con un linguaggio più marcato ed estetizzante, nel disegnare l’infanzia violata ne La promessa. E lo fa senza dimenticarsi di tutte le sfumature che compongono la realtà. Che è cruda e invincibile. Dove non esistono cacciatori eroici. E non esistono bambine capaci di spuntare vive dalla pancia del lupo.
Antonello Schioppa |
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