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21 GRAMMI – IL PESO DELL’ANIMA |
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Alejandro Gonzáles Iñárritu, regista messicano al primo film negli Stati Uniti dopo gli entusiasmi suscitati con Amores Perros (2000), sembra un tipo in gamba: ex deejay, ex compositore di jingle, fondatore della prestigiosa società mediatica "Grupo Z". Ma soprattutto sembra uno che sa cosa gli piace e sa come rifarlo. Il problema, se di problema si tratta, sta nella scarsa inventiva, nella bassa autorialità e nell’insufficiente carburante che mostra di avere a disposizione per eguagliare i modelli che trafuga. Conclusione: si accontenta di restituire gli echi di un certo cinema con risultato godibile ma innocuo, capace solo a tratti di scalfire, senza mai però fecondare, l’ovulo che prende di mira. Come nella sua opera prima, in 21 Grammi personaggi distanti sono legati da un incidente automobilistico: questa volta le conseguenze si chiamano vendetta, dolore, perdono, redenzione. Sean Penn, Naomi Watts e Benicio Del Toro sono tre attori notevoli per tre ruoli difficili: il malato terminale in attesa di trapianto cardiaco / la moglie del defunto che dona il cuore al malato / l’ex galeotto che uccide il marito-donatore della donna. Melò, esistenzialismo e spiritualità si mescolano, in un mix efficace solo in parte. Ma chi fa davvero bene il proprio mestiere quando le cose si mettono male è il trio in questione, con la faccia, il cuore ed il talento. E con i tempi ed i respiri che il regista, saggiamente, concede: Iñárritu infatti lavora di generosità nel dare, d’intelligenza nell’osservare e di gratitudine nel prendere, tagliuzzando e montando ciò che il cast mette in piedi con grande intensità. Dirige con maestria l’improvvisazione, aderendovi con stile mediante la cinepresa a spalla e dilatandone le corde con un attento lavoro sui colori scenografici. Si assume, però, un grosso rischio: spappola la narrazione ed imbarca lo spettatore in un viaggio a zonzo nel corso degli eventi. All’inizio è il caos…alla fine i conti sembrano tornare. Ma rimane una scia di notevole ridondanza e confusione dove invece si gradirebbe chiarezza, e non è sufficiente per il regista ricordarsi dell’espediente fotografico che Steven Soderberg ha applicato in Traffic (2000) per ripeterne le magnifiche gesta: se lì la difficoltà delle tre ambientazioni parallele ha trovato efficace soluzione in uno schema cromatico semplice e chiaro (fotografia virata o in rosso, o in giallo o in blu a seconda della vicenda mostrata), qui lo stesso stratagemma mira ad enfatizzare le diverse soglie emotive dei personaggi piuttosto che guidare l’orientamento nella complessa geometria dei piani temporali. L’esito è che il film salta spesso come un lettore-cd malandato restituendo, purtroppo, un "cut-up" poco allucinato e molto fastidioso. I conti non sempre tornano, dunque, come non tornano i 21 grammi che il peso del corpo umano perde al momento della morte. Dove finiscono? E cosa rappresentano? "Tutte le azioni nel mondo sono determinate dai numeri" si recita nel film. La matematica non è un’opinione, a quanto pare. Al Festival di Venezia 21 Grammi non ha bissato gli applausi e le ovazioni che Amores Perros aveva conquistato a Cannes. Per ora è l’unico (e modesto) peso che Iñárritu deve sopportare per aver cercato di confrontarsi con "il peso dell’anima".
Antonello Schioppa |
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