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IMMORTAL (AD VITAM) |
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Enki Bilal al cinema: dalle illustrazioni e dalle ambientazioni disegnate per i vecchi maestri Resnais ed Herzog fino alle tavole concepite per Annaud sul set de Il nome della rosa. Poi Bunker Palace Hotel nel 1989, sua prima prova da regista, affresco parabolico di un regime totalitario futuristico, con due bandiere del cinema francese nel cast: Jean-Louis Trintignant e Carole Bouquet. Nel 1995 Tycho Moon, suo secondo film: ancora Trintignant, questa volta affiancato da Michel Piccoli. Con Immortal (ad Vitam) l'autore prosegue la traduzioni in celluloide del proprio immaginario. Quello immortalato nelle sua fantastiche tavole, quello che fa di Enki Bilal uno dei grandi della storia del fumetto, uno al fianco di gente come Moebius. Ma si sa che le trasposizioni da un mezzo espressivo all'altro sono sempre assai difficili, in particolare quando si parte dalla dimensione narrativa dei 'comics', cioè la più vicina in assoluto a quella del cinema. L'operazione di Bilal non sfugge purtroppo alla regola, anche se con modalità opposte a ciò che accade di solito: a rovinare il progetto, in questo caso, non è l'eccessiva esemplificazione di un lavoro costruito sugli effetti speciali ed affidato a registi poco adatti, ma l'esatto contrario. Immortal (ad vitam) è un film d'autore ad alto budget (circa 23 Milioni). Il problema è che i soldi spesi, se pur tanti, non si sono rivelati abbastanza e che l'autore, se pure si chiama Bilal, col cinema non sembra avere lo stesso talento che con la matita. Note dolenti su tutti i fronti: dalla sceneggiatura che funziona poco e che risulta a tratti poco comprensibile, alla computer grafica, con la strana soluzione di mescolare volti reali all'animazione in una sorta di Chi ha incastrato Roger Rabbit al contrario che risulta poco funzionale. Il problema è che manca equilibrio e sostanza cinematografica ad intuizioni indiscutibilmente interessanti. La decostruzione che l'autore tenta delle sue tavole visionarie, impossibili da riproporre nella loro barocca saturazione stilistica, spesso si spengono proprio nell'incapacità di padroneggiare a pieno le ruote della sceneggiatura su grande schermo. Gli effetti visivi, inoltre, a tratti sono davvero imbarazzanti nel loro "vorrei ma non posso". Di buono rimane poco: la splendida attrice protagonista dai capelli blu, cioé l'ex Miss Francia Linda Hardy, intensamente vacua come l'eroina su carta cui si ispira, ed il fascino di alcune delle atmosfere che Bilal riesce a restituire dalla sua Trilogia di Nikopol (da cui il film recupera personaggi e vicende se pur con numerose differenze narrative). A parte l'assoluta singolarità del risultato che, nell'apprezzabile tentativo di ricerca poetica e metafisica, ha il merito di assomigliare poco ai tanti suoi cugini contemporanei, il senso di tutta l'operazione è nelle frase sofferta di un fan che potete pescare nel web: "Enki, I like you, but please, stop directing". Speriamo che il prossimo esperimento del genere, quello cioé che pare porterà alla regia la leggenda Frank Miller per trasporre il suo celeberrimo Sin City sotto la supervisone della coppia Tarantino-Rodriguez, beh... speriamo proprio che il prossimo esperimento sia ben altra cosa.
Antonello Schioppa |
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