Attenzione: contiene spoilers
The Ring non mi
ha convinto. Buona regia, buona suspence, due o tre
momenti effettivamente spaventosi, ma la storia ha troppi buchi.
Anche nelle storie sovrannaturali occorre una plausibilità interna, anzi,
a maggior ragione. Poe insegna che per parlare dell'irrazionale bisogna
mantenere un equilibrio impeccabile, affidarsi alla ragione.
È un problema soprattutto industriale. Questo film-groviera è chiaro che
ha i "buchi" perché c'è già pronto The Ring 2, poi verrà il 3, il 4,
diventerà un tormentone tipo Venerdì 13 o Nightmare on Elm Street. La
mania dei sequel porta a sprecare o diluire le buone idee narrative. Un
film dovrebbe stare in piedi da solo e non alludere subito ai sequel o alla
dimensione extra-filmica, multimediale e di merchandising. The Blair Witch
Project lasciava tutto irrisolto, poi la montagna dei sequel e pre-quel ha
prodotto un pezzettino di merda di topolino.
Da dove viene 'sta cazzo di figlia adottiva, Samara?
È stata relegata sopra la stalla prima o dopo essere internata per analisi?
Com'è possibile che in soli venti-venticinque anni il pozzo sia
sprofondato nella terra tanto da costruirci sopra uno chalet che peraltro
appare già fatiscente?
Come mai nella scena dell'assassinio di Samara i cavalli corrono ancora
liberi e tranquilli? Non era stato proprio il fatto che la bambina
spingesse i cavalli alla pazzia e al suicidio a distruggere la quiete della
famiglia?
Altre cose, anche fondamentali, vengono dette ma en passant, sono sicuro
che la maggior parte degli spettatori che era in sala con me e Claudia
della storia non ha capito un belino.
Voglio dire: io l'ho capito che le videocassette le imprime col pensiero,
senza bisogno di videocamera, ma i capannelli fuori risuonavano della
domanda: "Ma la cassetta chi l'ha fatta?" Non è questione di fare "film a
prova di stupido", ma se si vuole fare un prodotto seriale e popolare
bisogna essere un po' meno ellittici e lasciare da parte certo integralismo
da "show don't tell". Bisogna pure "tell" qualcosina in
più!
Io l'ho capito che il fantasma in tutti questi anni non ha comunicato col
mondo perché non poteva approfittare della presenza di un
videoregistratore proprio sopra il pozzo (lo dice il tipo della reception:
"qui la tv non si prende molto bene così abbiamo comprato un
videoregistratore"), ma un elemento così importante della trama non può
essere affidato a una frase detta con noncuranza da un tipo che si vede per
venti secondi e poi mai più.
Io l'ho capito che Rachel e Aidan non muoiono perché chi fa copie della
cassetta diventa "immune", e che la cassetta è una sorta di video
autoreplicante, ma la mia interpretazione è sorretta solo da una fugace
inquadratura della copia sotto la poltrona del soggiorno di Rachel.
Altri squilibri: non compare più la madre di Katie, la prima ragazza
morta, eppure è proprio lei a "commissionare" a Rachel l'indagine.
Idem per gli amici di Katie: sono loro a parlare a Rachel della
videocassetta, si intuisce che di quella storia ne stanno parlando tutti i
loro coetanei, però la cosa non viene più ripresa.
Insomma, una sceneggiatura mediocre. Non pessima e respingente come quella
di Hypercube (il film più sconclusionato e raffazzonato che ho mai
visto, insieme a I cavalieri che fecero l'impresa e I fiumi di
Porpora), ma indubbiamente mediocre.
Ok, il film fa paura (il finale è una cazzata, va detto), e quindi assolve
il suo compito principale.
Certo, c'è qualche innovazione significativa nel sotto-genere "de
fantasmi". Ne individuo almeno due:
- lo spettro non ha più bisogno dell'interfaccia "sindacale"
sensitivo/medianica, e si manifesta usando direttamente i supporti
tecnologici. Il sovrannaturale passa all'autoimprenditoria postfordista. In
films come Poltergeist c'era ancora bisogno della bambina sensitiva, qui
*chiunque* può vedere gli spettri. Autorappresentanza del cognitariato nel
comunicare con l'Aldilà :-)
- la sequenza della ricerca condotta su Google, negli archivi, in
biblioteca, è magistrale. Per la prima volta in un film horror, Internet
non è un elemento accessorio o pittoresco. Una ricerca del genere, senza
la Rete, durerebbe anni. Qui abbiamo una vera e propria lezioncina sullo
*specifico* di Internet e sulla trasformazione percettiva e antropologica
di cui è motore.
Ma tutto questo non basta. Una storia bisogna anche saperla raccontare.
Vedremo come se la caveranno col sequel.
Wu Ming 1
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