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Regia: Abbas Kiarostami |
Interpreti: Mania Akbari, Amin Maher, Roya Arabshahi,
Katayoun Taleidzadeh, Mandana Sharbaf, Amene Moradi, |
Sceneggiatura: Abbas Kiarostami, Mania Akbari |
Musiche: Howard Blake |
Produzione: Marin Karmitz, Abbas Kiarostami |
Paese: Iran/Francia Anno: 2002 |
Durata: 91' |
Distribuzione: BIM |
Sito ufficiale:
italiano ,
francese |
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“Sono anni
che come una pagliuzza
fra le stagioni
me ne vado senza meta ” [1]
Dieci scene, due inquadrature, cinque personaggi, l’interno di un’automobile
nelle strade affollate di Teheran e tante parole. Kiarostami realizza il suo
film più radicale, dove il processo di dissoluzione della regia si risolve
in un’affermazione della propria poetica.
Ancora una volta il protagonista attraversa la realtà a bordo di
un’automobile, ma il paesaggio, così centrale nei suoi ultimi film, diventa
un bagliore sfocato oltre i finestrini, oppure, viene risucchiato dal buio
della notte. È il volto umano, per Cassavetes il
paesaggio più interessante, che occupa quasi per intero l’inquadratura.
Volti di donne, su tutti quello bellissimo di Mania
Akbari, artista dalla forte personalità, vero cuore del film.
Per la prima volta lo sguardo del regista si sofferma sull’universo
femminile, chiuso nell’opprimente abitacolo, come microcosmo
concentrazionario. Ne risulta un’immagine della donna iraniana
sorprendentemente vicina e familiare, sospesa tra emancipazione e
costrizione.
Il mondo maschile, chiuso e autoritario, è impersonificato dal figlio della
protagonista. Questo bambino, già piccolo uomo, dispotico e petulante, parla
a nome di tutti i maschi assenti ed esplicita un’eredità culturale
tramandata da padre in figlio.
Il realismo fenomenologico di Kiarostami evita, però, ogni tentazione
retorica attivando un cortocircuito tra finzione e realtà, che lo allontana
sempre più dal cinema iraniano degli ultimi anni. Il lavoro con gli
attori(non attori), supportato dalla leggerezza e dalla libertà del
digitale, consiste nel preparare le situazioni e i sentimenti e lasciare che
tutto si verifichi come un incidente, come una cosa vera.
Dieci è un film di una semplicità disarmante e dunque, complesso e profondo
come la vita.
“Nel santuario
ho pensato a mille cose:
quando sono uscito
non me ne era rimasta in mente nessuna” [2]
Giorgio Giliberti e Alessio Trabacchini
(1) e (2) :
Abbas Kiarostami, “Come il vento” (poesie); Milano, Il Castoro, 2001
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