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DOGVILLE

   

Nicole Kidman in Dogville di Lars Von Trier

Regia: Lars Von Trier

Interpreti: Nicole Kidman, Stellan Skarsgard, Siobhan Fallon, Chloe Sevigny, Patricia Clarkson, Jeremy Davies, Philip Baker Hall, Paul Bettany,
Lauren Bacall, James Caan, Blair Brown, Ben Gazzara, Jimmy Uller, Jean-Marc Barr, Harriet Andersson, Udo Kier, Bill Raymond, Erich Silva,
Trinity Stiles

Sceneggiatura: Lars Von Trier

Fotografia: Anthony Dod Mantle

Scenografia: Peter Grant

Costumi: Manon Rasmussen

Musiche non originali: Antonio Vivaldi

Montaggio: Molly Marlene Stensgard

Produzione: Lars Jonsson, Vibeke Windelov

Paese: Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Olanda, Svezia Anno: 2003

Durata: 135'

Distribuzione: Medusa

Sito ufficiale: www.tvropa.com/Dogville

   

Mai visto niente di simile. Il signor Lars Von Trier vince la scommessa che ogni spettatore deve aver lanciato, dopo il primo minuto di film, chiedendosi: ma che davvero ha intenzione di fare tutto il film così? Ebbene sì, lo ha fatto. Von Trier gira due ore e venti minuti all’interno di una cittadina immaginaria che non esiste ma riusciamo a vedere, fa muovere i propri attori all’interno di pareti che loro non possono toccare ma noi immaginare, priva gli spettatori della fisicità delle cose per restituirgliene il senso. Per la prima volta forse, le istanze predicate nel manifesto Dogma 95 (per alcuni aspetti criticabile), trovano una ragione d’essere in quest’opera. L’instabilità visiva delle immagini (dovute alla ripresa a mano) vanno ad inserirsi in un impianto drammaturgico di chiara ispirazione Brechtiana, l’eclettismo registico si fonde con l’astrazione scenografica e abbraccia indissolubilmente lo straniamento cercato e voluto da Lars von Trier. Lars Von TrierIn questo modo l’unico oggetto della visione è l’attore stesso, lo è per il regista nella misura in cui lo è anche per lo spettatore, l’attenzione dello sguardo si sposta sui corpi e le parole, il personaggio in un certo senso non esiste più ma è l’espressione di un concetto di (e per) un uomo. Von Trier lancia una sfida e la vince, scardinando le istanze cinematografiche più ovvie (il tempo e la verosimiglianza su tutte) riesce a creare del cinema puro a teatro.

Sui contenuti come al solito sarà polemica.

Nonostante l’assenza di porte Von Trier non ne lascia aperta alcuna, le chiude tutte, non concede spazio alle interpretazioni e chi vede non può fare altro che continuare a vedere, ed ascoltare il buon (o) cattivo "Dio" che narra la sua parabola. Lo hanno accusato di presunzione o prepotenza intellettuale, la verità è che il signore suddetto è troppo geniale per non concedergli il beneficio del dubbio, è bene non peccare di presunzione critica e prenderlo sul serio, con riserva magari, ma anche con il rispetto che merita un autore che ha il coraggio di provocare.

Aldilà dell’intelaiatura cristologica con cui L’autore edifica i suoi film, in questo caso specifico, e più che in Dancer in the dark, a far discutere saranno le risultanze politiche e sociali dell’intero discorso artistico. Come in molti sanno Lars Von Trier, data la sua paura di volare, non è mai stato negli Stati Uniti e qualcuno naturalmente ha fatto notare il vizio di fondo di un regista che si permette di criticare una società che non ha mai avuto il piacere di visitare. L’approccio è sbagliato, la domanda non è: ma come si permette? La domanda è: perché Von Trier pensa di poter narrare sugli Stati Uniti senza averli conosciuti di persona? Perché? Perché L’AMERICA non è solamente una nazione fatta di carne, fango ed acqua, ma anche, o soprattutto, un luogo mentale, un padre educatore, un immaginario collettivo che ha determinato e determinerà parte delle coscienze di mezzo mondo. Gli Stati Uniti sono anche nella strada danese in cui Von Trier vive. Volete forse privare un uomo di disquisire sul proprio vicino?

Dogville, così piccola eppure universale, così lontana e così vicina.

Dogville, Dogvillela cui piantina somiglia così tanto ad un cervello umano, è l’origine del pensiero, e conseguentemente l’antefatto esistenziale che determina le azioni dell’uomo. Per Von Trier questa cittadina sperduta sulle montagne (e da cui non si può uscire salvo tornare indietro!) è senz’altro un luogo primordiale, l’origine del tutto e di ogni evento, tragico o meno che sia. Qualcuno ha detto che i panni sporchi si lavano in famiglia, ma se la somma di tante famiglie forma una società forse quest’ultima ha bisogno di un lavaggio "universale", e non è detto che a fornire il sapone non sia un "presuntuoso" europeo.

Una cittadina da cui non si può uscire salvo tornare indietro, salvo lavarsi i panni sporchi.

Davide Catallo