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FEBBRE DA CAVALLO LA MANDRAKATA |
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Siamo stati aprioristicamente scettici sulla buona riuscita di questo film. Pensare di rifare il film di Steno (padre dei Vanzina), senza rimetterci le penne, ci sembrava sintomo di spregiudicatezza piuttosto che di coraggio. I figli che strizzano l’occhio ai propri padri in fondo non ci sono mai piaciuti. Ma ci siamo sbagliati. Il film diverte, sforna battute e situazioni comiche in continuazione, ci regala un Proietti mattatore ed irrefrenabile come solo lui sa essere ed una serie di personaggi di contorno decisamente a loro agio con un canovaccio collaudatissimo e tipicamente romano. Ma è per altri aspetti che ci permettiamo candidamente di consigliarne la visione. I Vanzina dimostrano acume e sensibilità nell’evitare l’aggiornamento di un cinema e di una comicità che fuori dal proprio contesto storico sarebbe divenuta stucchevole e pretenziosa. Difatti, Febbre da cavallo la mandrakata non è un remake, bensì, un sentito omaggio ad un mondo ormai svanito. L’unico modo per non tradire il precedente film, ed il proprio padre, era copiarlo, non tanto nelle situazioni ma nello spirito. Per questo il film più che un divertissement, ci pare essere una vera e propria esperienza emotiva. Sentiamo e vediamo sullo schermo una Roma ormai scomparsa, la Roma borgatara e caciarona, forse volgare ma di certo più viva, la Roma di Fellini, quella Roma che tra un “li mortacci tua” ed un “a figlio de ‘na mignotta” permetteva ai più, di assaporare la vita più vera, quella di Pasolini e tanti altri, quella nascosta dietro il bancone di un fruttarolo. Sentiamo e vediamo sullo schermo quel cinema che non “famo” più, quel cinema così spontaneo e così brutto, quel cinema ancora figlio del neorealismo italiano e che spesso usava attori che non erano attori. Ridiamo spassosamente grazie ad una comicità che non è del nostro tempo e che non è volgare perché lo è troppo, quella comicità tradita e abbandonata perché puzzona: la comicità “ventrescale”. Attraverso la riproposizione di topoi ormai morti e non più originabili dall’attuale scenario culturale e sociale, i Vanzina approdano ad una dimensione nostalgica che nel ricordo di un mondo e nel rammarico di averlo per sempre perduto, trova la sua ragion d’essere. Per questo, Enrico Montesano (già protagonista insieme a Proietti del film di Steno) che tra gli attori è quello che nel fisico denota maggiormente l’incedere del tempo, è quello che nel suo commovente tentativo di rigenerarsi nei panni del mitico “er Pomata” senza mai riuscirvi, diviene suo malgrado l’icona più commovente di questo amarcord. In un certo senso i Vanzina, seppur in allegria, hanno celebrato un funerale.
Davide Catallo |
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