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Il cuore altrove |
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Avviene una strana alchimia nelle opere di Pupi Avati, il come non è dato saperlo, ma la visione di Il cuore altrove riconcilia lo spettatore con il ricordo di un passato non troppo lontano, la malinconia delle immagini e la delicatezza dello sguardo riconduce ad un’identità collettiva ormai perduta nella vacuità dei nostri tempi, e la materia filmica ci appare come qualcosa di estremamente familiare. I personaggi più che rispondere ad un impianto narrativo, sembrano generarsi dentro uno spazio filmico che supera la finzione e si fa senso, luogo della memoria. Roma è Roma, Bologna è Bologna, e le strade, gli oggetti e le comparse non sembrano il risultato di una sapienza tecnico-scenografica ma il sentito ricordo di un autore. Il ricordo di un’Italia (e di un cinema) che nel bene e nel male ci appartiene. Il cuore altrove è pervaso da un’amarezza di fondo che, sebbene celata attraverso l’ironia o addirittura la comicità di alcuni personaggi, condiziona la visione, e nel finale incide indelebilmente il senso dell’intero film. Accarezza e lacera il cuore la storia di Nello (il valido Neri Marcorè), professore romano mandato a Bologna dal padre per trovare una moglie; un bambinone timido, sensibile, un uomo (ed un film) che viene dall’antichità. È la storia di chi ride per non piangere, è la storia di chi studia per non morire, di chi s’innamora della musa di Lucrezio nella Bologna d’inizio ‘900. La musa in questione è Angela Gardini (la sorprendente Vanessa Incontrada), ragazza borghese, sorrisi che baciano, occhi non vedenti che si lasciano ammirare, sicura di sé e del suo destino che attraversa il film con il suo fare calcolato ma nello stesso tempo affascinante, si vorrebbe ignorare ed invece si finisce inesorabilmente con l’amare. Ma non si può amare la donna ideale. Ottimo come sempre Giancarlo Giannini che dà vita ad un divertente e boccaccesco sarto romano, funzionale Nino D’angelo, e commovente Sandra Milo che ci regala due evanescenti secondi (prestate attenzione!) che ci riportano agli amati fotogrammi di 8 1/2 . Certo….forse l’interpretazione di Marcorè è un po’ monocorde….forse Pupi Avati poteva spingere il suo sguardo su una dimensione più poetica, certo….forse nell’ultima mezz’ora il film paga un calo di ritmo e di fascino, salvo poi riprendersi in un finale sottilmente atroce….forse il cinema di Avati è troppo autoreferenziale, troppo vecchio per appassionare….forse….però….è arrivato il momento di difendere l’accademia a fronte di tanto mediocre cinema alternativo…. il cinema è più semplice di quanto si possa pensare. Semplicemente d’autore, onestamente italiano. Davide Catallo |
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