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Londra e zone
limitrofe, anni correnti: tra stonati karaoke, biancheria imbarazzante e
gaffes continue si consumano le avventure sentimentalsessuali della
sfortunata Bridget, overthirty che mangia, beve e fuma troppo e che un bel
giorno si stanca di fare la zitella e con un paio di minigonne trova
l’amore. Anzi, ancora meglio, ne trova due. È tutta qui la trama facile
facile del film tratto dall’omonimo romanzo di Helen Fielding, a detta dei
lettori più cattivo e divertente della sua trasposizione cinematografica,
come spesso avviene nel caso di sceneggiature non originali.I produttori di
Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill ci riprovano: se era
impossibile fare peggio del secondo (inguardabile la storia della diva che
si innamora dell’uomo comune ), comunque non si riesce qui ad eguagliare il
primo, che aveva la sua forza nel ritmo veloce, nelle battute continue,
nelle vicende incrociate di un buon numero di personaggi e nella
predilezione per un certo umorismo nonsense e molto british. Tutto materiale
che manca, o scarseggia vistosamente in Bridget Jones: le battute sono
troppo rade nel fallimentare tentativo di fare una commedia anche
intelligente; l’inadeguatezza delle protagonista e le situazioni
sentimentali sono ripetute e ribadite senza varianti con una costanza che
lascia sconcertati; l’unica sottostoria presente (la
separazione/riappacificazione dei genitori) non è curata e non basta per
supportare una trama basata su un unico personaggio, che per quanto ben
recitato da Renee Zellweger non convince fino in fondo. Colpa della
sceneggiatura, talmente impegnata a fare di Bridget un personaggio
“contromoda” (lei grassa vs i magri, lei con gli amici single e/o
omosessuali vs i raduni di coppie sposate, lei che dice sempre la cosa
sbagliata vs quelli che a volte dicono una cosa giusta eccetera) da perdere
completamente il riferimento alla realtà, da dimenticare che al cinema la
storia del brutto anatroccolo l’hanno già proposta in ogni salsa. Per
spiegare come una zitella cicciotta e depressa possa arrivare alla felicità
assoluta sarebbe bastata una trama che non si fosse limitata a scorrazzare
per le disavventure della protagonista affidandosi per i colpi di scena
unicamente al semplice escamotage del deus ex machina sentimentale (tra
l’altro, molto prevedibile: lo spettatore ci mette due minuti a capire quale
degli spasimanti sarà il prescelto). Il film si salva, comunque, grazie alla
bravura degli attori (anche Hugh Grant se la cava bene), a una bella colonna
sonora e a qualche sporadica sequenza sinceramente divertente, come la festa
“preti e squillo” oppure la sfuriata di Bridget a Daniel accompagnata da
Respect di Aretha Franklin.
Valentina Soluri |
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