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L’Appartamento Spagnolo |
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armonie si schiudono ogni tanto a dar sollievo a questo nostro pauroso vagare per sentieri che non conosciamo. P. V. Tondelli, Pao Pao
L’occasione che capita a Xavier, studente francese all’ultimo anno di Economia e commercio, è il Progetto Erasmus, un programma dell’Unione Europea che consente di compiere i propri studi in un altro Paese del vecchio continente. A Parigi lo aspettano un lavoro al Ministero delle Finanze e la sua fidanzata; ma dopo un anno di convivenza "forzata" a Barcellona con altri sei studenti europei, la sua vita non sarà più la stessa. Questa, infatti, è la storia di un "decollo", oltre che fisico (dell’aereo con cui inizia la sua storia), morale. Xavier è un tipo piuttosto borghese, decisamente "normale", che ha dei problemi a relazionarsi con la famiglia, con la sua identità, con la sua vita sessuale e con la ragazza, interpretata da un’intensa Audrey Tautou pre-Amelie. Confrontandosi con gli altri studenti, straniero tra stranieri, il venticinquenne protagonista è costretto a mettere in discussione le proprie certezze, a convivere con l’instabilità e l’inquietudine ma anche a scoprire che la diversità può essere arricchimento e la confusione un terreno fertile. Capisce, più che altro, che si può trovare un’armonia preziosa all’interno del caos, che si può amare senza desiderare e desiderare senza amare. Ma Xavier impara soprattutto a non mentire a se stesso e a credere nei propri sogni. Cédric Klapisch, nel suo ottavo film, (il terzo distribuito in Italia dopo Ognuno cerca il suo gatto e Aria di famiglia) ci parla, con estrema leggerezza, attraverso la metafora della convivenza in quest’appartamento spagnolo, della situazione e dell’identità europea. Tratteggia con sensibilità i caratteri dei singoli coinquilini giocando con gli stereotipi dei vari Paesi senza scivolare nella caricatura. Si potrebbe dire che il mal di pancia di Xavier sta all’uovo sodo (che non va né su e né giù) del film di Virzì come la sequenza dell’addio tra Xavier e la ragazza sta alla scena finale di Io e Annie di Woody Allen. Ma se le vicinaze con il film del regista newyorkese si limitano ad una citazione, le assonanze con Ovosodo (molto probabilmente involontarie) sono rintracciabili nella cadenza da commedia gggiovanile (!!!). Il regista francese, però, non è ruffiano, tutti i suoi personaggi si elevano dal ruolo di macchiette e le soluzioni visive si fanno apprezzare per inventiva e freschezza. Ne L’Auberge espagnole , che tra l’altro ha ricevuto nell’ultima edizione di France Cinéma a Firenze il premio speciale della giuria, Klapisch usa una camera numerica, una HD Cam. Prima di lui l’avevano usata solo Vidocq e Star Wars , ovviamente in maniera del tutto diversa. Il regista esalta la sensazione di libertà che il digitale può dare girando, per esempio, nella scena del blackout, con la sola luce del fiammifero o utilizzando gli accelerati che non avrebbe potuto usare filmando in 33 mm. L’appartamento spagnolo, con la sua atmosfera elettrica, fatta di babele linguistica e di eventi che si interrompono in continuazione per fare posto ad altri, ci restituisce un’immagine dell’Europa ibrida, meticcia, oltre i confini, non solo geografici. Cédric Klapisch attraverso il suo stile scattante (e a scatti), assolutamente gradevole e divertente, sembra dirci ciò che il piccolo Xavier sussurra al grande: "dai, continua a sognare, ne vale la pena!" Giorgio Giliberti |
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