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L’ora di religione    

   

Regia e sceneggiatura: Marco Bellocchio
Interpreti: Sergio Castellitto, Jacqueline Lustig, Chiara Conti, Alberto Mondini, Maurizio Donadoni, Gigio Alberti, Piera Degli Esposti
Montaggio: Francesca M. Calvelli
Fotografia: Pasquale Mari
Musiche: Riccardo Giagni
Produzione: Filmalbatros, Rai Cinema
Distribuzione: Istituto Luce
Durata: 102’
Paese: Italia Anno: 2002
sito ufficiale: http://www.luce.it/loradireligione
   

Ernesto è un uomo confuso, dubbioso, che ama la bellezza, la morale e la coerenza. Intorno, naturalmente, c’è il mondo: il mondo che si affida alle certezze, un universo di uomini che cercano in vita un’assicurazione sulla vita.

In Bellocchio si avverte il fastidio verso l’arroganza del non-dubbio, l’arroganza del non-gusto, l’arroganza dell’ipocrisia.

L’ora di religione apre le finestre sulla vita di un pittore ateo (ex comunista) che deve fare i conti con una madre che forse diverrà santa. Un film sulla famiglia, sul Mistero, sul potere ideologico della Chiesa e sul fastidioso servilismo della politica italiana nei confronti del potere ecclesiastico, sulla spaventosa assenza nel nostro paese di un autentico pensiero laico. Ma anche un film sulla Bellezza e sulla forza dell’individualità, sulle immagini umili e splendide che non pretendono e non aggrediscono (i quadri di Castellitto/Ernesto Picciafuoco). E sull’immagine inquinata, irrispettosa, aggressiva, volgare, finalizzata (una certa iconografia religiosa, il monumento politico, il non gusto della maggioranza).

Attraverso un’efficace scrittura “irrealmente realista” («ho sempre rivendicato all’artista una dimensione che vada oltre il primo sguardo. Ciò che mi piace di meno del cinema italiano è proprio una certa povertà e piattezza iconografica») e un montaggio in splendida armonia con un’orchestrazione musicale ricca ed efficace, Bellocchio si fa penetrare splendidamente, trasformando l’esperienza dello spettatore in un viaggio sempre più convincente al di là dello schermo. Torna alla mente l’ultimo eccezionale Olmi per la completezza cinematografica con cui trasforma la quotidianità in visione, per la maestria con cui conduce gli attori, per la profondità e l’autenticità da cui guarda il mondo, la Storia, il presente, l’eternità. Torna alla mente l’Antonioni di Zabriskie Point (sullo schermo si vede crollare, magnificamente, l’imponente Altare della Patria che domina Piazza Venezia), torna alla mente l’unico possibile modo di confrontarsi con il mistero della vita: il dubbio, l’amore, la passione.

All’inizio del film, il figlioletto del pittore Picciafuoco cerca di sfuggire a Dio, correndo da una parte all’altra della casa rivendicando il diritto di rimanere solo con i propri pensieri. Si riparte dalle prime domande sui misteri della conoscenza attraverso la mente di un bambino: «se Dio è ovunque, non posso essere mai solo!», e «come fa Dio a controllare sei miliardi di persone contemporaneamente?» e «ma se non credi, dove vai quando muori ?». E si riparte anche dalla ribellione più semplice ed ingenua, ma anche la più disperata, verso la sterilità che spesso sorregge il pensiero religioso: la bestemmia.

Non un film sulla religione, ma sugli uomini e la società civile. Un occhio politico ed esistenziale che si muove con grande efficacia attraverso le palafitte che sorreggono l’esistenza, con la forza della rabbia, della disperazione, e della leggerezza.

 

Antonello Schioppa