|
||||||||||||||
|
||||||||||||||
|
||||||||||||||
Il cinema dei Coen sta benissimo. Non sarà la flautolenta diagnosi rumoreggiata dal critichino di una rivista (para)indipendente italiana a scalfire la bellezza old fahioned di The Man Who Wasn’t There, ultimo lavoro della ditta Ethan & Joel. Stroncatura non illustre, ci mancherebbe. Viene da una macchietta avvezza a difendere Boldi, De Sica Jr. e Neri Parenti, certo non da una penna dei Cahiers. Lontani dal capolinea, dalla stasi creativa, i Coen firmano una suggestiva opera in bianco e nero pensata come un omaggio al noir dei Preminger, Sirk, Ulmer e di scrittori come James M. Cain e Raymond Chandler. Un atto d’amore verso un genere che da Il Falcone Maltese (1941) di John Houston arriva, nella sua fase più compiuta, a L’Infernale Quinlan (1958) di Orson Welles. Atmosfere torbide, ombre sulla tranquilla provincia americana dell’immediato dopoguerra, personaggi che sovente imboccano per caso la strada del crimine (Il Postino Suona Sempre Due Volte) inciampando in situazioni più grandi di loro. The Man Who Wasn’t There è la storia di Ed Crane (Billy Bob Thornton), uomo triste, inetto, ingenuo sognatore di grandi occasioni. Ed il taciturno (in un mestiere in cui la logorrea si sposa a forbici, pettine e camice bianco) brucia una sigaretta dietro l’altra e taglia i capelli nel negozio del cognato sempliciotto e italoamericano. Unito in matrimonio ad una donna che non ama e dalla quale non è amato, vive un’esistenza piatta in una cittadina della California settentrionale. È il 1949, la gente avvista dischi volanti, l’incubo della bomba atomica è sempre presente, la società sta andando incontro ad un nuovo tipo di modernizzazione, i costumi stanno cambiando (rock and roll versus Beethoven). Ed vorrebbe avere di meglio: 10.000 dollari, per esempio. Dieci biglietti da mille da investire nel futuro del lavasecco diventando socio di un tipo effeminato che ha tutta l’aria di essere un imbroglione. Ci prova, ricattando un facoltoso commerciante che ha una tresca con sua moglie (Frances McDormand, indimenticabile interprete di Fargo). Ed il barbiere gioca il suo asso nella manica ma è destinato al precipizio dei perdenti nati; firma la sua condanna alla pena capitale entrando di diritto nella galleria degli uomini di fumo cui ci ha abituato il cinema dei Coen. Un ritorno alle origini, si direbbe. Noir era Blood Simple, il lungometraggio d’esordio, noir maturo, giocato sull’alternanza tra cinismo e note grottesche è The Man Who Wasn’t There. Sceneggiatura ad orologeria, ritmo perfetto, cura dei particolari impeccabile (le facce scelte per ogni film dei fratelli meriterebbero da sole un Oscar). In patria ha incassato una miseria, a Cannes ha conquistato il premio alla regia ex aequo con Mullholland Drive di David Lynch. Come Lynch, i Coen inseguono un’idea di cinema personale, formalmente classica, atipica nella scelta dei soggetti, nello sviluppo delle storie. Raccontano l’America dei mediocri, le ambizioni dei falliti, i vizi nascosti dietro una tranquillità apparente. È un titolo bellissimo, L’Uomo Che Non C’era. Pirandelliano, ha scritto qualcuno, oppure da ghost story per il modo in cui i personaggi affiorano sullo schermo come entità che fanno capolino sulla scena del crimine (i due strampalati detectives, l’avvocato alcolista, la Lolita che suona il pianoforte e così via). Sarebbe piaciuto a Welles, potete giurarci. E Welles avrebbe sicuramente scippato ai Coen la faccia scolpita nella pietra di Billy Bob Thornton, un Bogart che ha preso lezioni da Buster Keaton.
Lazzaro A. Gionaro |