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Titolo originale:
id |
Regia: Pedro
Almodovar |
Interpreti: Gael
Garcia Bernal (Zahara), Fele Martinez (Enrique Goded), Daniel Gimenez
Cacho (Padre Manolo), Javier Camara (Paca/Paquito), Leonor Watling
(Monica) |
Soggetto e sceneggiatura:
Pedro Almodovar |
Fotografia: Jose'
Luis Alcaine |
Costumi: Paco
Delgado, Jean-Paul Gaultier |
Musiche: Alberto
Iglesias |
Montaggio: José
Salcedo |
Produzione:
Augustin e Pedro Almodovar per El Deseo S.a |
Paese: Spagna
Anno: 2004 |
Durata: 105' |
Distribuzione:
Warner Bros. Italia |
Sito ufficiale:
www.lamalaeducacion.com |
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Era più di due anni fa.
Uscivamo dalla sala del Tibur a San Lorenzo nell’aprile del 2002, estasiati,
commossi, sconquassati, distrutti e quant’altro. Avevamo appena visto
Parla con lei, la storia dell’infermiere che amava la ragazza in coma,
intrecciata con quella dello scrittore e della cantante dalle fattezze
mascoline innamorata e sofferente per un eroinomane. Ancora prima, avevamo
atteso sempre due anni per rivedere all’opera il genio che partorì quel
capolavoro che ha rappresentato Tutto su mia madre (che poi, in
questo paese si facciano delle interrogazioni parlamentari per non mandarlo
in prima serata su Raidue, e si transiga su Incantesimo, è una
questione che non intendiamo prendere in esame ora, ma meditate, gente,
meditate..). Eh sì, perché noi siamo fans della svolta di
Pedro Almodovar.
Non che i primi, grotteschi ed assurdi film del regista spagnolo non
riscuotano le nostre simpatie, anzi, ma troviamo che negli ultimi anni
Almodovar sia stato l’unico artista capace di parlare d’amore in maniera non
stucchevole, originale e fuori dagli schemi. Senza retorica da fiction di
terza serie, l’occhio del regista castigliano ha indagato in mondi dove
l’amore era “contronatura”, per dirla con il Cardinale Reitziger, lo stesso
che nelle segrete della cupola più famosa al mondo avrà speso grandi elogi
per la svolta del
compagno Zapatero in materia di matrimoni e di famiglia.
Zapatero come Almodovar! Questo era lo slogan che ci animava nell’andare a
vedere La Mala education. Ci aspettavamo un ennesimo colpo inflitto
dal cineasta dalla pettinatura un po’ così al rigurgito di puritanesimo di
questi anni e di una certa istituzione. Storia leggermente autobiografia,
avevamo letto. Almodovar è stato in collegio da piccolo, e denuncerà le
malefatte di un certo tipo di clero. La domanda che albergava in noi era
come lo avrebbe fatto: in maniera pesante, calcando la mano, scene
raccapriccianti e fuori i benpensanti che si battono il petto dalla sala. Ci aspettavamo che il ciclone spagnolo si abbattesse come l’Enola-Gay (per chi
non lo sapesse, è un missile, non un fantomatico personaggio omosessuale,
ndr.) sull’Europa, quella mediterranea e quella “mittle” e crucca. Avevamo
già sentito il rumoreggiare della Chiesa, lamentele ed accuse varie, e non
vedevamo l’ora che il buon Pedro ci sconvolgesse. Eravamo pronti alla nostra
esperienza estatica e catartica, quando la domenica, accendendo la
televisione e carrellando qua e là tra Platinette ed uno splendido programma
di Raitre sul precariato, ci imbattiamo nel nostro regista a Domenica in.
Cosacosacosa??? Almodovar a Domenica in? Ora, noi vogliamo sforzarci di
capire l’aspetto promozionale del film, ma il nostro non solo si faceva
intervistare, cum bacio in bocca, dall’ormai matrona e vestale Mara Venier,
ma in eccesso di kitch riusciva addirittura a cantare Cuore matto con
Little Tony. Li-tt-le- To-ny! Almodovar e Little Tony, mah…E già i primi
dubbi sulla forza e la veemenza del film cominciavano ad attanagliarci, ma
vabbè, al cinema andremo e trionfanti e garruli torneremo, perché Almodovar
è vivo e lotta insieme a noi!
È finito il film. Un
buon film, ben fatto, ben girato, bella storia. Un bel giallo, per
carità.
Un giallo?! Sissignori, avete capito bene, un giallo. Ci attendevamo l’Enola-
Gay, abbiamo visto un noir-gay. E senza che ci taccino di razzismo o di
discriminazione: un giallo che, per caso sembra, parte in un collegio di
preti e finisce in un teatro di posa. Negli anni ’60 due bambini,
Ignacio ed
Enrique, si conoscono in collegio, scoprono se stessi e l’amore che li lega,
il sesso artigianale e pudico tipico della preadolescenza. Padre Manolo farà
di tutto per separarli, attaccato morbosamente com’è alle grazie del piccolo
Ignacio. Dopo vent’anni Ignacio ricerca Enrique, nel frattempo diventato
sceneggiatore, per proporgli di mettere in scena la loro storia in collegio.
A questo punto il film, con la tecnica delle scatole cinesi, comincia la sua
trasmigrazione verso il giallo. Scene di vita reale si sovrappongono a
quelle del racconto, confondono noi poveri spettatori, che nel frattempo
bramavamo il guizzo, il coup de theatre, il decollo e quant’altro del film.
Tra colpi di scena più o meno efficaci, il film si conclude mestamente, non
lasciandoci quasi nulla. Volevamo la denuncia, e alla fine Don Manolo, che
si spreta pure nel frattempo (tanto per non attirarsi maggiormente gli
strali della chiesa…) ci appare quasi da coccolare. Volevamo sentire parlare
d’amore in certo modo, ma se si esclude che il mondo di cui si parla, quello
omosessuale, non viene trattato molto approfonditamente dal cinema
convenzionale, non è che il regista ci abbia insegnato molto. Volevamo,
volevamo, fortissimamente volevamo. Ed in invece cosa abbiamo ottenuto per 7
euris-7? Un gran bel film paraculo. Paraculo sì. Almodovar carissimo, fatte
servì, come si dice a Roma, hai perso una gran bella occasione. Di
denunciare il marcio dei collegi, di parlare con sensibilità di mondi e di
amori ai più sconosciuti. Ti sei fermato a parlare del tuo mondo: facce
ambigue, sensualità controverse, semi-fanghiglia sociale e sentimentale. Ma
che cosa ci hai donato di nuovo o di qualitativamente eccelso? Nulla di
nulla, un discreto giallo e basta, e la connotazione demi-positiva
dell’aggettivo te la diamo perché non sei un maestro del brivido, perché
anche di
gialli etero e omo, ne abbiamo visti ma di molto, ma molto
migliori. E vabbè Pedro, sarà per un’altra volta. Magari promuovilo da
Costanzo il film, la domenica, che ne sai, magari va un po’ meglio…E a noi
che resta? Non disperiamo guys, c’è sempre Servillo che fa il ragioniere
della mafia, una sposa turca in Germania, la ritrovata coppia Lo
Cascio-Ceccarelli, Travolta alcolizzato, l’interessante cacciatore di teste
Pasotti e chissà che tra una settimana non fischieremo anche noi il film,
mooolto ben accolto a Venezia di Michele Placido.
Non vi basta? Volete
di più, dopo la delusione di Almodovar? Bhè, Emmanuelle Beart meretrice e
mantide non dovrebbe essere proprio male, almeno per gli ormoni.
Au revoir
mesdames et messieurs, à la prochaine fois.
Simone Pollano |