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Titolo originale:
Lost in Mancha |
Regia: Keith
Fulton e Louis Pepe |
Cast: Bernard
Bouix , René Cleitman , Johnny Depp, José Luis Escolar , Benjamín
Fernández , Terry Gilliam, Tony Grisoni, Vanessa Paradis, Philip A.
Patterson, Nicola Pecorini, Gabriella Pescucci, Jean Rochefort |
Operatore: Louis
Pepe |
Narratore: Jeff
Bridges |
Musica: Miriam
Cutler |
Montaggio: Jacob
Bricca |
Animazioni: Stefan
Avalos, Chaim Bianco |
Illustrazioni:
Terry Gilliam |
Grafica scenografie:
Benjamin Fernandez |
Grafica costumi:
Gabriella Pescucci |
Produzione: Lucy
Darwin, Quixote Films, Low Key Pictures in associazione con Eastcroft
Productions |
Paese: UK
Anno: 2001 |
Durata:89' |
Distribuzione:
Mikado |
Sito ufficiale:
www.lostinlamancha.com |
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Don Chisciotte
non è il cinema. Sfugge al meccanismo produttivo, ai piani di lavorazione,
ai burocrati, ai ragionieri, ai funzionari delle assicurazioni cavalcando in
sella a Ronzinante verso un luogo segreto e remoto, dove la macchina da
presa non arriva. Inafferrabile minoranza di soggetto vanamente desiderato
dal cinema, suddito di nessuno, variabile impazzita dalla nascita
erroneamente scambiata per atto terminale del romanzo cavalleresco. Al più
possiamo scorgerne l’ombra, sentire in lontananza il cozzare dei pezzi di
latta che compongono la sua corazza da mentecatto sentimentale, tracciarne
il profilo affilato sulle pagine di uno storyboard. E sognarlo, in coppia al
fido Sancho Panza, pronto all’avventura per l’avventura dentro contrade
irreali.
Don Chisciotte
è
un paesaggio lunare di biancori e crateri, «Lontano, molto lontano, come se
avesse toccato terra su un altro pianeta, come un uomo che si ritrova dopo
la morte», per dirla con le parole di D.H. Lawrence nel Kangourou.
L’amore inesauribile di Orson Welles non è
bastato. Non è bastata la costanza: "Quasi finito, manca qualche raccordo",
dichiarò il cineasta ai «Cahiers» nel 1965, dieci anni dopo averlo
cominciato. Ma Welles non riuscì mai a completare l’opera che a un certo
punto, per ammissione del diretto interessato, avrebbe potuto intitolarsi
Quando terminerà Don Quixote? Stesso destino per The Man who killed
Don Quixote, il progetto da 32 milioni di dollari di
Terry Gilliam da realizzarsi con capitali
europei e una troupe multilingue. Entusiasmo alle stelle: via da una
Hollywood che appende l’aglio alle porte per tenere lontani i fantasisti, si
combatte coi mulini a vento della vecchia Europa, sulla scia degli ultimi
Lynch e De Palma.
A Madrid,
Keith Fulton e Louis Pepe
(già autori del documentario The Hamster factor and other tales of twelve
monkeys, rintracciabile nel Dvd Universal de L’Esercito delle 12
scimmie), hanno seguito tutte le fasi di un disastro in parte
annunciato: dalla pre-produzione al brusco risveglio di Gilliam dopo la
chiusura del set (sei giorni di lavorazione in totale) e la perdita dei
diritti del film oggi di proprietà delle compagnie assicurative. Colpa di
una tempesta che sfascia il set, delle mille difficoltà logistiche, dei guai
alla prostata di Jean Rochefort. Don Chisciotte
non c’è, rifiuta di congiungersi alla fabbrica di divinità di massa fino a
smorzare la fiducia dei produttori, dei sessanta investitori associati. Non
serve a niente evocarlo, dargli luce artificiale e un copione, una
truccatrice personale, i meravigliosi costumi ideati da
Gabriella Pescucci. Elude la celluloide,
prediligendo la rischiosa avvenenza di un destino insensato.
Lost in La Mancha
è un film attraversato da passioni che appaiono mimate e invece sono
vere. Dopo l’infatuazione, l’abbaglio, i lunghi corteggiamenti a Rochefort,
a Johnny Depp, alla stronzissima
Vanessa Paradis che si concede per una prova
costumi e nulla più, si consuma il tormento di un regista crudelmente
afflitto dalla realtà dei fatti che non sono parte della sua visione e
costringono alla misura, all’ammanettamento delle idee, poi all’aborto
coatto.
"Questo è il
trailer", dice un Gilliam fiducioso mentre
guarda insieme ai suoi
collaboratori i provini dei ‘giganti’. Ha una bella luce negli occhi, la
luce di un ragazzino che ha passato le sessanta primavere pensando
unicamente ai film, alle storie che gli venivano in testa, non al mercato. È
di un altro mondo, di una galassia lontana dove ogni sfida è seduzione,
rovescio della consuetudine, fascinazione eterna. Proprio come
Don Chisciotte.
Nino G. D’Attis