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MAGHI E VIAGGIATORI

   

MAGHI E VIAGGIATORI di Khyentse Norbu

Titolo Originale: Chang Hup the Gi Tril Nung

Regia: Khyentse Norbu

Interpreti: Tshewang Dendup, Sonam Lhamo,
Lhakpa Dorji, Deki Yangzom, Sonam Kinga

Soggetto e Sceneggiatura: Khyentse Norbu

Fotografia: Alan Kozlowski

Scenografia: Ugyen Wangchuk

Costumi: Claudia Bahls, Jamyang Choden

Musiche: Dechen Dorjee, Sonam Dorji, Jigme Drukpa, Ben Fink

Montaggio: Lisa-Anne Morris, John Scott

Produzione: Raymond Steiner e Malcolm Watson per Prayer Flag Pictures

Paese: Bhutan Anno: 2003

Durata: 106'

Distribuzione: Bim

Sito ufficiale: www.bimfilm.com/maghieviaggiatori

   

Dopo questa recensione sicuramente verrò nuovamente rimproverato dal mio migliore amico che mi accusa di essere troppo esigente, mentre mia sorella mi giudica talmente innamorato di Kitano da non riuscire più a guardare altro. Sono entrambe teorie valide, ma c’è da aggiungere che non è certo colpa mia se la maggior parte delle pellicole prodotte sono prive di un senso artistico. Ultima cavolata sugli schermi è Maghi e Viaggiatori, già il titolo è un programma, che malgrado la sua origine orientale non divide niente col divino Kitano (io adoro quest’uomo), anzi è un soporifero film che sconsiglio a chiunque soffra di crisi temporali. Sembra infatti che il sopra citato sia stato prodotto per dimostrare le teorie scientifiche di Einstein secondo il quale tempo e spazio sono relativi. Vi domanderete: "Può un film essere oggetto di tale studio?" La risposta è affermativa. Se avrete l’insana indecenza di andare al cinema per vedere Maghi e Viaggiatori, scoprirete dopo i pimi cinque minuti che ogni secondo tenderà a dilatarsi all’infinito tanto che il vostro orologio da polso sembrerà rotto, avrete in alcuni momenti anche la sensazione che l’immagine sullo schermo sia immobile, MAGHI E VIAGGIATORI di Khyentse Norbucome in pausa. Alla fine della proiezione potrete chiedere la pensione, perché i 106 minuti passati in sala vi sembreranno anni. Bisogna di sicuro fare i complimenti al regista e al produttore per la titanica impresa di dimostrare la relatività in maniera così semplice, io personalmente consiglierei di distribuire delle copie agli studenti di fisica o ingegneria, magari potrebbero comprendere meglio alcuni concetti che attualmente sfuggono, tipo viaggi nello spazio. Oppure si potrebbe utilizzare il film come lassativo o sonnifero, risparmiando su farmaci, certo dopo bisognerà aumentare le sedute psichiatriche, ma non si può mica avere tutto dalla vita.

Dovendo necessariamente criticare il film direi che è una prova new age, di un regista new age, con attori new age, credo che sia sufficiente. Vi sfugge il significato? Come? È semplice. Immaginate di stare in palestra, siete lì a fare i vostri pesi e proprio accanto a voi c’è un gruppo di ragazze che non fanno altro che parlare di come l’urinoterapia le stia aiutando tantissimo e di come si sentano bene a fare yoga: "Sai la musica pacata le posizioni rilassanti, poi tutte le mattine faccio questo…" Vedi una di loro che accenna il saluto al sole (surya namaskar) in quattro posizioni: "Non mi ricordo come si chiama, ma mi aiuta tantissimo". Insomma queste perle umane, queste tipe/i molto new age così a contatto col mondo, così spirituali e tanto acculturati, talmente tanto che non conoscono neanche Swami Sivananda e credono che il karate e lo tang lang siano la stessa cosa e che il tai chi chuan sia una specie di danza contemporanea. Insomma il film è su questa linea, malgrado sia stato girato da Khyentse Norbu di ovvie origini, sembra contrariamente troppo intriso di questa sotto cultura che ha preso piede negli ultimi anni.

Ho sempre amato l’oriente e il suo cinema, da sempre mi interesso di filosofia orientale e spesso mi capita di leggere testi buddhisti, ma il film è lontano anni luce da questi profondi precetti. Lungo tutta la sua durata tenta di arrampicarsi in un racconto che non arriva da nessuna parte, in due storie che non contengono nessun significato teologico o filosofico, senza contare che la poesia non è proprio di casa né il concetto stesso di arte fittizia. Dov’è quel non appartenere a nessun tempo? Dove vanno a finire gli insegnamenti del Buddha? Il regista e il produttore vogliono raccontarci una realtà lontana da noi, un Bhutan contemporaneo distante dai libri e dall’immaginario collettivo, ma non ci riescono, perché l’inconsistenza non potrà mai catturare l’attenzione. Vorrei concludere citando qualcosa d’orientale, però di origine giapponese: "Commetteremmo un grave errore se scambiassimo la nebulosità dello yugem per qualcosa di empiricamente privo di valore o significato…. Si deve comunque ricordare che la Realtà, ovvero l’origine di tutte le cose, è una quantità ignota all’intelletto umano, ma che comunque possiamo sentirla nel modo più concreto." (D.t. Suzuki)

Massimo Macchia