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A VENEZIA NON HO VISTO NIENTE testo e immagini di Nise No |
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Se Venezia è in Italia, allora sto proprio scrivendo da un posto chiamato Venezia. Mi hanno dato una stanza orrendamente barocca in un albergo a cinque stelle che fa piuttosto schifo e si affaccia su uno dei canali più brutti della città. Puzza. C’è il Festival, bisogna adattarsi; di conseguenza non posso soffermarmi sugli odori che offendono il mio naso. Il Lido: un set dove si potrebbe girare una versione ultracore di Waterworld mettendo il simpatico Ron Jeremy al posto del legnoso Kevin Costner.
Sveglia a mezzogiorno. In piedi alle 12.45. Colazione in camera con cappuccino, brioche semplice, uova sode, succo d’ananas. Guardo dieci minuti di televisione. La tv italiana è orrenda. Sono arrivato più o meno da due giorni e ancora non ho visto un film che sia uno, ma ho promesso un articolo a Blackmailmag e, sul mio onore, giuro di non essere mai venuto meno ad un impegno. Anche se stavolta è gratis (chi me l’ha fatto fare?). Anche se, personalmente, detesto il concetto di festival e tutto ciò che ad esso si associa.
Venezia mi fa venire in mente Brazil di Terry Gilliam. Oppure questa frase di Jules Laforgue: “Tutto morto, tutto morto e in evaporazione; tranne il cuore che batte, che batte.” O, ancora, la suite per violoncello N.5 in do minore BWV 1011 di Johann Sebastian Bach associata alle immagini in bianco e nero dell’incontro di boxe Archie Moore-Rocky Marciano (1955).
Fortunatamente, mi sono portato dietro Ultraglide in black dei Dirtbombs; la raccolta Casual Sex in the Cineplex; Virtual Geisha dei Japanese Telecom (un link: www.gigolo-records.de) più tutto l’Afrika Bambaataa che sono riuscito a procurarmi in MP3. Un giovane giornalista duramente provato dalla visione dell’ultima pellicola di Michele Placido, mi ha chiesto: “Maestro, quando pensate di ritirarvi da questo squallido scenario?” Immodestamente e senza pudore, ho avuto un anno che ne vale dieci. Ho mollato la produzione del mio primo film perché mi stavo annoiando. Ho annullato un intero calendario di mostre (le immagini che illustrano questo articolo sono i lavori più recenti). Ho chiuso con l’ultima groupie che veniva a letto con me solo perché ero (sono) l’Artista Eccentrico Pieno di Grana. Sono stato in Svizzera e lì ho inciso un disco di merda dal titolo The disco according to Nise No. Disco music tra Giorgio Moroder e Plastic Bertrand, con sospiri svogliati da orgasmo casalingo. Erano anni che desideravo farlo. Uscirà a giorni e – prevedibilmente – lo sento come una cosa già vecchia. Questa è un’ottima scusa per rifiutarmi di fare promozione da qui fino a Natale. Altra decisione importante: da questo momento in avanti, le opere del sottoscritto saranno NO COPYRIGHT. Una liberazione e una conversione (a proposito: è vero che Naomi Klein ha messo il copyright su NO LOGO?). Ieri sera ho quasi fatto a pugni con un americano. Ero al bar dell’albergo e ho chiesto un Havana Club (rum di Cuba al 100%), quando questo tipo se ne è uscito dicendo che stavo evidentemente aderendo alla campagna di boicottaggio della multinazionale Bacardi. Il barman mi ha confidato che si trattava di un pezzo da novanta di Tribeca che butta via i soldi in storie epico-romantiche che fanno piangere la gente al cinema. Quella roba in costume con Mel Gibson, più o meno. Braveheart o We were solidiers: valorosi berretti verdi accerchiati dai vietcong. Bandiere che sventolano in campo lungo e, sullo sfondo, chiari segni di un diluvio in arrivo. Io non sono un patriota. Ho rinnegato il mio paese e tutti gli altri. In blocco, per non scontentare nessuno. So che in Italia siete messi male. Lo sanno tutti e lo sapete anche voi. Vi sentite patrioti? Vi commuovono le storie sui bravi patrioti? Vi compiango. Devo vedere il film sull’11 settembre. Tutti mi dicono che dovrei vederlo e che l’episodio girato da Sean Penn promette bene ma so anche che potrei annoiarmi dopo un nanosecondo. Il cinema mi annoia. Starsene lì seduti in poltrona a fissare uno schermo è uno spreco di tempo. Preferisco cercarmi un’altra ragazza messa bene, chiudermi in camera e staccare i contatti col mondo esterno. Se proprio devo guardare un film, prendo un DVD con Laura Angel o Sylvia Saint. Lì c’è action. Il porno può ancora dare una speranza al cinema (Cannes 2002: la campagna moralizzatrice del sindaco ha fatto sbaraccare la cerimonia degli Hot d’Or). Merce più nobile, più onesta di quella offerta in formato famiglia dal circuito mainstream, il porno ci dispensa dalla visione di prove d’attore, fa a meno della sezione effetti speciali. Scavalca l’incertezza del cinema (“Come potremmo stupirli ancora?”), depennando le voci ‘effetto’, ‘décor’ e ‘stella di Hollywood’ dal budget produttivo. Tra Il Signore degli Anelli e Dreamquest non ho dubbi: voto a favore del fantasy-hard di Brad Armstrong interpretato da Jenna Jameson, Stephanie Swift, Asia Carrera e Jessica Drake. So che la Saint piace anche a Riccardo Paracchini dei Vegetali Ignoti e questo mi fa sentire in buona compagnia. Conviene sbaraccare. Dimenticare Venezia, prima che la depressione abbia la meglio. Non ho visto la Bellucci. Non sono stato in gondola. Ho declinato i numerosi inviti alle feste patrocinate dai cinematografari e dagli assessorati al collasso culturale. Mi sono ubriacato in solitaria e ho letto Lo zen e la cerimonia del tè di Kakuzo Okakura. Sono stato malissimo. Nise No |