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Regia: Brett Ratner |
Interpreti:
Anthony Hopkins, Edward Norton, Ralph Fiennes, Emily Watson, Harvey
Keitel, Mary-Louise Parker, Philip Seymour Hoffman. |
Soggetto: Thomas Harris |
Sceneggiatura: Ted Tally |
Fotografia: Dante Spinotti |
Montaggio: Mark Helfrich |
Musiche: Danny Elfman |
Produzione: Dino De Laurentiis
Productions, Scott Free Productions, Universal Pictures |
Distribuzione: Uip |
Nazione: Usa
Anno: 2002 |
Uscita prevista: 25 Ottobre 2002
(cinema) |
"Prima regola
Clarice, semplicità. Leggi Marco Aurelio: di ogni singola cosa chiedi che
cos'è in sé, qual è la sua natura". (Hannibal Lecter ne Il Silenzio degli
Innocenti)
Cos'è che la gente odia più della psicologia? La psicologia spicciola. E
questo una vecchia volpe come Thomas Harris lo
sa molto bene. Ha scritto tre libri sulle avventure di Hannibal Lecter (che
la trilogia a Hollywood, si sa, tira bene), un analista che diventa uno
psicopatico, anzi un cannibale, ma non ha mai spiegato troppo dei meccanismi
celati dietro questo personaggio o il serial killer di turno. E questa è la
sua carta vincente. In una cinematografia, quella americana, in cui tutto
deve essere narrativo ed esplicativo lui tiene a freno la penna, cosciente
forse di aver creato personaggi talmente mitici che a spiegarli si finirebbe
col comprometterli. Tutti siamo curiosi di sapere perché un brillante medico
come Lecter dia di matto e inizi a servire
organi umani alle cene con gli amici, ma forse scoprire che non c'è un
motivo vero e proprio, che probabilmente il seme della follia ha sempre
abitato nella coscienza del dottore, non sarebbe interessante tanto quanto
vederlo all'opera. E se scoprissimo che magari dietro ci sono delle banali
vessazioni, dei semplici disturbi della sfera affettiva, quel criminale di
cui non possiamo più fare a meno, di colpo perderebbe tutta la sua
attrattiva, il suo
magnetismo.
Diventerebbe un altro pazzo da rinchiudere, neanche troppo originale. E già,
in un mondo in cui gli spettatori sono stati smaliziati dai catastrofici tg
quotidiani, le spiegazioni non piacerebbero, tanto più che il mistero per
definizione ammalia solo quando resta tale. Dunque il film che questo
rischio lo correva essendo un prologo, ergo un racconto di come eravamo
giunti all'episodio già visto, non ci fa ritratti piagnucolosi del cattivo
di turno, Dente di Fata alias Red Dragon,
perché basta una voce off a raccontarci che è l'ennesima vittima di
maltrattamenti familiari. E nessuno si preoccupa di raccontarci l'origine
del cannibalismo di Lecter. Potrebbero smitizzarci il nostro cattivo
preferito. La scelta vincente sta nella semplicità, quella stessa decantata
e suggerita dal dottore alla "coraggiosa Clarice". E Brett Ratner nel prendere
appunti di regia da Demme decide saggiamente di
farsi prestare lo sceneggiatore e di rimpastare tutti gli ingredienti
affinché il piatto finale non somigli a una brutta copia ma ne sia una
rielaborata versione semplificata. I personaggi cambiano, ma la
sceneggiatura sceglie la fortunata formula del primo capitolo puntando tutto
sul rapporto tra "guardia e ladro". Ne Il Silenzio degli innocenti la
storia è basata sul rapporto tra Clarice e Hannibal: solo grazie a quest'ultimo
la giovane riesce ad arrivare al serial killer. È
un rapporto di convenienza senza il quale nessuno dei due potrebbe ottenere
ciò che vuole. Un sottotesto che serve all'autore per sbrogliare la matassa,
arrivare a una soluzione e dare alla storia il suo finale. Qui invece le
situazioni sono più chiare, più semplificate. Niente sottotesti. I plot sono
due, non correlati, ma simultanei. Da una parte la caccia del gatto al topo,
che Lecter si diverte a giocare con l'FBI agent Graham. Dall'altra la
deforme storia d'amore, nata tra Red Dragon e una ragazza cieca, che quasi
compromette la trasformazione di quest'ultimo. Perfino il tema della
trasformazione viene riutilizzato: Il Buffalo Bill
de Il Silenzio degli innocenti uccideva per scuoiare le donne,
farsi
un vestito e divenire femmina a sua volta. Allo stesso modo Dente di Fata
uccide per transumare la sua natura umana e fallibile in qualcosa che ai
suoi occhi appare sublime, perfetta e non più oggetto di scherno. E a tal
proposito ci viene suggerita anche una spiegazione, se pur nascosta, del
cannibalismo di Lecter: si ciba degli altri perché vuole inglobarne delle
parti, diventare loro, non solo in senso fisico, anche in quello metaforico.
Un po' come quelle tribù amazzoniche che praticano l'endocannibalismo o l'esocannibalismo,
che sono rispettivamente la pratica secondo con cui cibandosi dei propri
genitori se ne acquista l'autorità sancendone la successione e il rito con
cui si trae forza dai nemici uccisi. Lecter insomma è sempre il perno della
storia, tutto comincia con lui, e tutto è ricollegabile a lui, a partire dal
motore della vicenda. Hannibal è il deus ex machina. Lo è sempre stato, ma
in questo episodio non fa anche l'analista. Graham non è la recluta
Clarice con un passato problematico tutto da
scoprire. Non si affeziona a Will; lui è suo nemico, lo ha incastrato. E
quest' imperdonabile scortesia va punita non appena se ne presenti la
possibilità. La genialità della sceneggiatura sta tutta qui: nella
dimensione dei rapporti instaurati dai due protagonisti, anzi, da tutti i
personaggi. Ci affascina vedere che Lecter non è quel buontempone che
avevamo visto interagire con la Starling. Quel dottore capace, dalla
personalità affascinante che l'aveva aiutata a chiudere i conti col passato,
a salvare la sua innocente e a non farla più gridare. Qui Hannibal Super
Star stringe amicizia con Red Dragon e lo aiuta a impaurire Graham, a
metterlo in difficoltà. E quando il serial killer intreccia un'inaspettata
storia d'amore con chi delle apparenze non può diffidare (perché non le
vede) anche noi vacilliamo e attoniti osserviamo la complessità della mente
malata di Dragon che un attimo prima uccide e un attimo dopo dispensa
gentilezze alla sua bella. Attori, atmosfere, location, per una volta tutto
sembra essere degno del primo (irraggiungibile) capitolo. Con due eccezioni:
l'indimenticabile musica di Howard Shore, che
senza nulla togliere al maestro Danny Elfman, ci sembra di sentir
riecheggiare nell'aria, e il finale: così improbabile e americano, marchio
indelebile di una cinematografia che sembra non voglia mai farsi elogiare
troppo.
Sito ufficiale:
www.reddragonmovie.com
Valentina Neri
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