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The Eye |
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The Eye non è
un semplice film horror, ma un viaggio introspettivo nell’analisi delle
coscienze, una prova ben riuscita di due registi di Hong Kong. La storia
sembra essere un mix tra Stephen King e Edgar Allan Poe raccontata da una
regia che ricorda David Fincher. Gli Horror degli ultimi anni ci hanno
abituato a vedere l’oggetto della nostra paura, quasi volessimo esorcizzarlo
in qualche maniera. La riflessione orientale ci conduce invece in un dramma
interiore che si proietta esternamente coinvolgendo un'unica persona, la
protagonista. Mann diviene suo malgrado la vittima ed il carnefice di se
stessa. È vittima perché ha ricevuto un potere che non riesce a gestire, è
carnefice perché diventa la causa della sua sofferenza rifiutando il proprio
dono. L’evoluzione della trama è una sorta di cammino spirituale nel proprio
io e nella comprensione dell’animo umano. All’inizio del film la macchina da
presa ci trasporta nel mondo buio e tattile della protagonista. I continui
particolari degli oggetti, dei corpi, le riprese all’altezza dei piedi e
l’alternarsi di uno schermo nero ci trasmettono quasi l’illusione di
percepire
Il ritorno al buio segna la morte interiore e l’inizio della terza parte dove la cassandra d’oriente viene finalmente creduta da un uomo Wah (Lawrence Chow). Non è una casualità che questo ultimo personaggio sia uno psichiatra, un rappresentante della ragione che vacilla di fronte ai mille aspetti dell’uomo. La rinascita si compie attraverso la ricerca ed i fantasmi diventano anime dei cari che ritornano per un ultimo saluto o spiriti affini come Ling (Chucha Rujihanon). La solitudine che si rompe scoprendo che esiste qualcun altro che ha vissuto ciò che noi viviamo ed è allora che Mann e Ling diventano facce di una stessa persona, una ragazza sola perché cieca dalla nascita, l’altra perché intermediaria di due mondi, due vite distanti ma con lo stesso destino. La prima ereditando la vista dell’altra sottolinea il gemellaggio e quando s’incontreranno il loro vissuto si mescolerà ed il viaggio sarà completato.
I fratelli Pang superano di gran lunga il film americano e ci regalano delle immagini affascinati e poetiche, riuscendo a trasmetterci l’universo tattile/onirico/umano di Mann con grande sensibilità dimostrando ancora una volta che non è necessario scimmiottare i grandi autori come il sopra citato e che il cinema è fatto anche di piccole cose.
Massimo Macchia |
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