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L'ODORE DEL SANGUE |
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Ci sono dei registi da cui ti aspetti tanto, dei registi che non ti hanno mai deluso, ma ecco che arriva il colpo di scena e ti ritrovi a recensire negativamente un artista che hai sempre apprezzato. L’odore del sangue di Mario Martone è in poche parole una minchiata. Non mi vergogno a scriverlo né a ripeterlo mille volte. Forse potrei aggiungere addirittura palloso, narcotizzante, ripetitivo, angosciante, potrei star qui anche tutto il giorno, ma il succo è chiaro. Andiamo però nello specifico, iniziamo con la trama del film che già non presagiva nulla di buono: quante coppie aperte con relazioni extraconiugali abbiamo già visto? Tante, ma non è questo il problema, ci sono sempre infiniti modi di raccontare la stessa storia. Il reale dramma del film è il vuoto, e non in senso metafisico, ma proprio il vuoto di idee e di argomenti. Il regista sembra voler tirar fuori una sorta di dramma esistenziale sospeso in un delicato equilibrio onirico, ma la cosa funziona troppo bene, anzi è perfetta. Qui tutto è troppo perfetto: i dialoghi, i tempi, le immagini, gli attori, tutto è troppo educato, aggraziato, castigato, persino la fellatio a pieno schermo sembra opera di un’educanda. Che fine hanno fatto le emozioni? Quand’è che tutta l’arte è divenuta fine a se stessa? Cosa sta succedendo? Mi sta bene la ricerca di una forma pura di rappresentazione, ma ne L’odore del sangue si casca nell’esagerato; è come se l’autore abbia voluto perseguire una forma di razionalismo lecorbusiano, ma senza tracciare cinematograficamente la camera aurea. Le persone descritte hanno il gusto del finto, del troppo volutamente reale che non ti permette di essere coinvolto nell’avvenimento. La storia poi sembra non parare da nessuna parte: Carlo (Michele Placido) un uomo tranquillo apparentemente, ma con una violenza pronta ad esplodere, si divide in due relazioni, quella con la moglie Silvia (Fanny Ardant) e con la giovane Lù (Giovanna Giuliani). La storia degenera con l’entrata di un personaggio fantasma, cioè l’amante di Silvia. Questo è il fulcro del film, dove da ogni parola si cerca di far intuire come l’uomo misterioso non sia altro che un’ immagine ringiovanita dello stesso Carlo, forse in prima ipostesi, oppure una fantasia malata della stessa Silvia, il fatto è che Martone non riesce a ripercorrere una realtà tanto deviata come quella dei due protagonisti. Credo che la scelta di rimanere fedeli ad una cinematografia troppo parlata e troppo sospesa abbia svuotato completamente i personaggi della loro natura e non solo loro ma tutta la vicenda. L’odore del sangue resta un film ben girato, ben interpretato, ma non riesce ad andare oltre a questo, non riesce proprio a divenire cinema. Aspettiamo la prossima opera di Martone nella speranza di un miglior film, magari con grandi sbavature, ma più vicino all’animo umano.
Massimo Macchia |
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