|
|||||||||||||||||||
LA VITA CHE VORREI |
|||||||||||||||||||
“L’artista ha i paraocchi: il suo talento fa di lui un invalido. Un’opera scaturisce da un desiderio di autodistruzione e si edifica a discapito di una vita” (E.M.Cioran)
La vita che vorrei l’ha scelta qualcun altro. Il destino, senza preavviso, ha fatto la sua parte. La relazione con la mia compagna l’ha trasformata. La coppia, concetto messo completamente a nudo in questo film, esige di mettere in scena le proprie maschere, vive nel pericolo della simbiosi e nel continuo incontro/scontro emozionale. Ha una genesi che scalpita nel conflitto, si articola nel dualismo e si esaurisce nella volontà dell’annullamento del proprio squilibrio. Sandra Ceccarelli è la mia nemesi e la mia speranza. Uomo accecato di voluttà non posso comprenderla nel suo essere principalmente donna. Lontana e indecifrabile. Vulnerabile e pericolosa. Il primissimo piano con cui inizia il film è il suo primo tentativo di ingannarmi. Mi trae a sé con inerzia fingendo arrendevolezza ma ha già deciso come e dove colpire. Diffidenti, inizialmente, ci si annusa come bestie. E spaventa l’ambiguità del suo sguardo, la fragilità dei suoi movimenti. Fragile preda, tigre impacciata. Resta poi difficile immedesimarsi in Luigi Lo Cascio. In realtà universalmente maschio nell’egoismo delle sue azioni, nel tentativo di dominare il proprio destino, nell’utopica speranza di poter decidere della propria vita. Minimale e severo. Incapace di ridere di fronte alla disfatta. Comico triste. Polemico in cerca di avventure Lo Cascio recita tre volte la rassegnazione. Fuori e dentro il set. Fuori dallo schermo. Nel film del film. A distanza di secoli. E la sua maschera, immutabile, fredda e paranoica brilla solo nel finale, negli occhi spiritati che hanno accettato finalmente e consapevolmente la sconfitta. Ed è solo allora che avviene la trasformazione e la coppia può iniziare un percorso inevitabilmente insidioso ma finalmente libero da vincoli. Ma questo è un film che parla anche del cinema che si fa e si disfa. Arte funerea. Tombale. Piccioni si nasconde, proclama il suo amore per il cinema come un bambino che si vanta dei suoi giocattoli, mostra con distaccato realismo i feticci e i rituali cinematografici. Regista che scandaglia i limiti di un’arte che si autoriproduce, impossibilitata a esprimersi coerentemente, fagocitata dai suoi tentativi drammatici di imitare la realtà ma infine, lusso prezioso, consolante nel riprodurre i sogni. Piccioni sgretola e sperpera il suo universo, confessa il suo essere condannato con commovente coraggio e lo fa affezionandosi alle bassezze e agli eroismi di una coppia storica e moderna. Attraverso una rottura vince le proprie ossessioni. Oltrepassa per un istante il definito. Jo Laudato |
|||||||||||||||||||
|