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Titolo originale:
id |
Regia: Gianni
Amelio |
Interpreti: Kim
Rossi Stuart, Charlotte Rampling, Andrea Rossi, Alla Faerovich,
Pierfrancesco Favino, Manuel Katzy, Michael Weiss, Ingrid Appenroth,
Dimitri Süsin, Thorsten Schwarz |
Soggetto:
Giuseppe
Pontiggia |
Sceneggiatura:Gianni
Amelio, Sandro Petraglia, Stefano Rulli, dal romanzo Nati due volte
di Giuseppe Pontiggia |
Fotografia: Luca
Bigazzi |
Scenografia:
Giancarlo Basili |
Costumi: Cristina
Francioni |
Musiche: Franco
Piersanti |
Montaggio: Simona
Paggi |
Produzione: Enzo
Porcelli Elda Ferri, Karl Baumgartner, Bruno Pesery |
Paese: Italia,
Francia, Germania
Anno: 2004 |
Durata: 105’ |
Distribuzione: 01
Distribution |
Sito ufficiale:
www.lesclefsdelamaison.com |
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Noi
italiani, si sa, siamo un popolo di poeti, navigatori e santi, ma
soprattutto di bonaccioni e di “pezzi di pane”. Ci commuoviamo per le storie
più struggenti e sofferte, adottiamo i Mustaphà, seguiamo Vermicino fino
all’alba, facciamo fiaccolate per gli ostaggi (salvo poi ignorare cosa siano
le ONG, ma vabbè questo è un altro discorso), e ci struggiamo se litigano
Alessandra e Costantino, o se dietro la busta delle lettere di Maria De
Filippi o dal palco della Carrà non appare l’esule o transfuga amato. Non
potevamo esimerci quindi dall’incensare preventivamente il film-lacrima per
eccellenza dell’ultimo anno: Le Chiavi di casa, di
Gianni Amelio
(l’interpunzione è d’obbligo, altrimenti sembrerebbe di voler forzare
l’abitazione del regista…). Presentato all’ultimo Festival di Venezia come
il favorito numero uno della rassegna, il film non ha ricevuto i premi
preventivati, per i quali persino il Ministro Urbani si era molto esposto. È
stato osannato dal pubblico e dalla critica, ma né il regista, né tantomeno
i tre attori hanno potuto ricevere le ambite “statuette”, come invece era
capitato tre anni orsono a Nanni Moretti ed alla sua “stanza del figlio”.
Scandalo, stupore, sudore e lacrime, dagli
alla giuria. Ma com’è possibile?
Si parla di handicap, ci fanno piangere e versare lacrime su lacrime e non
vincono niente? Giuria incompetente se il premio lo vince un film inglese
che non vedrà nessuno (certo è che, effettivamente, Raoul Bova tra i
giurati…), non ha rispetto del dolore di un handicappato e del suo sforzo
interpretativo! Noi invece, personalissimamente, siamo felicissimi che Le
Chiavi di casa non abbia conseguito alcun premio ufficiale. Non perché
non sia un bel film, anzi è un gran bel film, ma perché odiamo questo
buonismo e questa voglia di pollitically correct a tutti i costi che
serpeggia nel nostro paese: è inutile piangere e commuoversi quando sullo
schermo vediamo la storia, comune purtroppo a tante famiglie, di quanto sia
problematica la vita con un “diversamente abile” in casa. È comodo, troppo
comodo, ed anche vigliacco, perché tutta l’ammirazione è dettata da un senso
di compassione che vada a mettere a posto la coscienza. Piangiamo, piangete
anzi, perché è così che si deve fare di fronte ad una “sventura” del genere.
Ed è per questo che secondo noi, invece, Amelio ed il suo gruppo ristretto
di attori, dovrebbero essere felici di non essere stati premiati
ufficialmente. Il Leone d’oro, o le Coppe Volpi, non sarebbero state sincere
ed oggettive, ma determinate da un fortissimo senso di pena. Sentimento che,
a nostro avviso, il film non vuole suscitare. Anzi è un inno alla vita, è un
disvelamento di quanta forza vitale ci sia in un ragazzo con dei problemi,
che ad un certo punto deve sorreggere moralmente il padre trovato dopo 15
anni. Non si piange nel film, non si deve piangere, anzi molto spesso la
verve comica di Andrea Rossi, che interpreta il figlio di Kim Rossi Stuart,
lo fa diventare anche divertente e piacevole. È un film sulla difficoltà di
accettazione della diversità in un ambito familiare, ed in particolar modo
da un punto di vista dell’uomo: anche qui sta la bravura di Amelio, nell’
aver affrontato una problematica, quasi esclusivamente analizzata al
femminile, dalla prospettiva paterna. È la storia di un padre che, dopo 15
anni di assenza, cerca il figlio handicappato, avuto da una donna morta di
parto, per portarlo a Berlino a curarsi. Qui incontra una donna, madre di
una ragazza ricoverata in una clinica specializzata, che lo aiuta a superare
le difficoltà psicologiche nell’affrontare la diversità.
Kim Rossi Stuart si
rivela essere, come spesso gli
accade da dopo i kimoni dorati o i fantaghirò,
un attore eccelso e sottovalutato: bbello e bbravo oseremmo dire, molto, ma
molto di più di altri suoi colleghi che abbiamo citato in questo pezzo (tipo
Bova, per non far nomi). Di Andrea Rossi abbiamo già detto: un ragazzo di
una simpatia travolgente, sarebbe un peccato non rivederlo più sugli
schermi. Anche la prova di Charlotte Rampling è degna di menzione, ma è lo
spessore e la profondità dei personaggi a fare la differenza: non si avverte
una sbavatura durante tutto l’arco del film, non c’è un’esagerazione, né un
sentimentalismo eccessivo. È un film vero, punto. E allora, caro Gianni
Amelio, dacci retta, te lo dice blackmailmag: hai fatto un gran bel film,
che pubblico e premi e critici vigliacchi potrebbero solo rovinare. Perciò
sappilo, Amelio: noi non abbiamo pianto!
Simone Pollano |