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OPEN RANGE - TERRA DI CONFINE |
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Open Range è il film delle verità rivelate, del cinema che vuol farsi vedere anziché farci vedere. E ogni cosa è chiara, sfacciatamente evidente che non capirla, non notarla sarebbe impossibile. Così Kevin Costner filma e firma un western che fa tabula rasa delle ambiguità morali di certi classici del genere per tornare ad un certo manicheismo dove i "cattivi" si vestono in nero ed assumono un'aria perversa, mentre i "buoni", hanno nobili sentimenti e bell’aspetto. I paesaggi sono da cartolina e in ogni momento ci rassicurano che le cose sono proprio quelle che sembrano, non altro, non simulazione ma reali, vere. Costner è così disperatamente innamorato della figura classica del duro cowboy e così preso dall’esaltazione del nomadismo e della libertà che dimentica di raccontare una buona storia facendo oscillare maldestramente la macchina da presa. Il film soffre anche di alcune lunghezze e di certi buchi narrativi (il gregge di bestiame che costituisce un punto importante nella prima metà del film, sembra completamente dimenticato nella seconda) che seguire i percorsi del protagonista e ascoltare i suoi sproloqui diventa un’esperienza metafisica. Una storia d’amore improbabile e melensa, i cowboys che devono percorrere la via dell’espiazione e combattere i propri demoni prima di confrontarsi con il nemico e una sparatoria da manuale, si susseguono facendo lentamente (ma davvero lentamente!) evaporare anche la lontana speranza del western di serie B. Allora non resta che aggrapparsi alle innumerevoli citazioni (almeno una decina) di grandi classici del passato, immergersi nel cinema di John Ford, Sergio Leone e dimenticare che persino in un passato non troppo recente Costner avrebbe potuto imparare qualcosa. Magari ripercorrere la strada de Gli Spietati o di Dust dove Clint Eastwood e Milčo Mančevski scelgono di raccontare duelli che avvengono sotto l’effetto dell’alcool, della rabbia e della vendetta piuttosto che per sani sentimenti. Costner invece continua fino in fondo a confezionare luoghi comuni costringendo Robert Duvall e gli altri attori a portare avanti il gioco delle parti, senza regalarci mai, neanche per un momento una zona d’ombra da dove poter guardare in faccia il buon cinema.
Rossella Macchia |
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