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8 DONNE E UN MISTERO |
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Se il cinema francese dorme un sonno talmente profondo da risultare di cattivo auspicio, dimenticare Parigi è più facile. Nell’incedere narcolettico dell’ex specchio del desiderio fine anni Ottanta manca la ‘differenza dall’artè propria di Beineix (da noi manca soprattutto l’ultimo, mai distribuito Mortel transfert) e Carax; manca il Besson di Nikita e León, più tutti i film non fatti dai libri di Frédéric Dard. Un buco sulla grandeur dello schermo. Un decennio di vuoto governato dal triumvirato Téchiné, Sautet, Ozon. Letargo avvilente. E un film come 8 donne e un mistero è addirittura il referto di un coma, poiché François Ozon, al quinto lungometraggio non si fa scrupolo di scomodare i nomi di Cukor, Sirk ed Hitchcock per una sophisticated comedy sui generis tutta al femminile. Impianto classico (da una piéce di Robert Thomas), riprese rigorosamente in interni, illuminate da Jeanne Lapoirie (Gocce d’acqua su pietre roventi e Sotto la sabbia, sempre di Ozon) e pensate con scrupolosa chiarezza delle informazioni spaziotemporali come un omaggio/ritorno (impossibile) al Technicolor, all’estetica della Hollywood anni Cinquanta. Ossessione del calco. Un attacco dei cloni (il regista ammette candidamente di aver pensato ad Ava Gardner e Lana Turner) orchestrato con filologia maniacale (o vana ricerca di un segno d’autore) su un set di 1300 metri quadrati che ospita una parata di dive d’Oltralpe in abiti Dior o Yves Saint-Laurent: Catherine Deneuve, Isabelle Huppert, Fanny Ardant, Emmanuelle Béart. La prima fitta arriva con i titoli di testa (fiori a manciate, uno stordimento floreale di segno diametralmente opposto a quello neworderiano di Power, corruption & lies). Il buco si allarga: a causa della grandeur dello squarcio, di una struttura narrativa incapace di destare interesse, resistere oltre i primi trenta minuti è una sfida. La palpebra cala pesantemente, ci si sente alieni sulla terra quando i ‘colleghi’ delle altre testate ridono di gusto a battute raggelanti (come dice il buon Schioppa: "Quello del critico cinematografico è un mestiere che logora. Non puoi farlo per più di tre o quattro anni e sperare di conservarti sano"). La storia? Siamo nel Natale del 1950, in un’amena magione immersa nella campagna francese. Una famiglia matriarcale si riunisce per una vacanza con delitto (un uomo - il gallo del pollaio - accoltellato alla schiena nottetempo da mano femminile ignota). Agatha Christie o la Signora in Giallo? Nulla. Signore e signorine (otto in tutto, contando anche la servitù) che deambulano imbellettate sulla scena, ora scandendo a cuor leggero battute da oratorio, ora cantando allegramente su musiche del maestro Krishna Lévy. Comari, più che donne "Belle, tempestose, intelligenti, sensuali e pericolose..." come recita il pressbook. Teatralità ridondante, esibita in assenza di valore d’urto e imprigionando le attrici nel bozzolo del consumato mestiere. Moquette. Per un inconcludente, intollerabile scrupolo d’intelligibilità dell’illusione, viene fuori il vero mistero: come fanno a superare la fase di ideazione film-operetta del genere? sito ufficiale: http://www.8femmes-lefilm.com (N. G. D’A.) |