|
||||||||||||||||||
IL RITORNO DI CAGLIOSTRO |
||||||||||||||||||
Si ride fino al mal di pancia e mentre scorrono i titoli di coda la prima domanda che viene in mente è: "davvero gli italiani si scompisciano con Boldi e De Sica?" La seconda ha a che fare con la perseveranza necessaria a cineasti come Ciprì e Maresco per affrontare i produttori di oggi, oltre che, si capisce, la grave necrosi culturale della nazione. Più stomaco che fermezza, forse. Una minaccia che ai tempi de Lo Zio di Brooklyn (1995) sfruttò l’opportunità di realizzare un lungometraggio per poi offrire alla fine del decennio scorso l’apocalittico Totò che visse due volte come bersaglio ai tiratori scelti della censura, a preti mancati e loschi opinion makers nostalgici dell’Inquisizione.Il film che non c’era, che ha rischiato di non esserci per una serie fortunatamente non infinita di ostacoli produttivi, è finalmente nelle sale. Dopo una vetrina a Venezia, addirittura, nella sezione ‘Controcorrentè (tra Pitons di Laila Pakalnina, Lost in translation di Sofia Coppola e il ‘dogmatico’ giochino Dem fem benspaend di Jørgen Leth e Lars von Trier), con quella lapidaria battuta proprio all’inizio sullo stato del cinema italiano accostato ad un piccolo gregge; con Santa Rosalia da Palermo, Lucky Luciano, Orson Welles, un cardinale che sembra Bin Laden e la ‘minchia’ da tutte le parti. Carne, sempre carne. Non c’è odore di plastica nel cinema dei due palermitani, ma sudore di corpi in stato avanzato di disperazione, una rigorosa frequentazione di territori lontani non dal pubblico, come insinua qualche ipocrita con fare rassicurante, ma dall’intero sistema commerciale cine-televisivo. Cagliostro ritorna dal futuro del Cinico Cinema, in anticipo su Il Ritorno del re di Peter Jackson e sui pacchi e contropacchi che il grande pubblico si vedrà recapitare a Natale. È un ritorno ‘mutantè in bianco e nero e a colori, in cinemascope, in digitale, da un numero imprecisato di false partenze, da un set più volte smontato e rifatto, dalle voci che negli ultimi quattro anni indicavano il film come un horror cupo e malinconico (e in parte lo è sicuramente, occupandosi di necrofilia cinefila), poi come il seppuku in grande stile della ditta. L’immagine è a pezzi, restituiamole la possibilità di colpire davvero, oppure proviamo a raccontare ciò che era una volta l’immagine: questa è la partita. Pino Grisanti, sedicente regista, liquiderebbe la faccenda come una "minchiata". Sprezzante, pavido e gretto, egli è un mammifero che pensa al pane quotidiano, non all’arte. Logico che si camuffi da Nosferatu non per togliersi lo sfizio di un cameo (alla maniera di Hitchcock o di Tinto Brass) ma per aggiungere una comparsa in più al film scalcinato che sta girando. Necessità, niente altro. Nell’anno di (dis)grazia 2003, in Sicilia, qualcuno ritroverà le pizze perdute di una pellicola incompiuta e la notizia occuperà le pagine culturali locali. Scenderanno in campo eminenti critici, si ascolteranno i testimoni dell’epoca, si tenterà un’accurata ricostruzione dei fatti: cosa accadde veramente? "Minchiate" anche queste: l’attore protagonista si è sfasciato, è morto, è ai matti, spegnete il motore. Prima de Il Ritorno di Cagliostro ci sono stati i documentari su Louis Armstrong e Duke Ellington e lo spettacolo teatrale Palermo può attendere realizzato con la complicità di Luigi Maria Burruano e Franco Scaldati. Lavori messi insieme mentre in certi ambienti montava un tangibile ostracismo nei riguardi di Ciprì e Maresco, vie di fuga imboccate nell’attesa di nuovi finanziamenti per finire il film. Cagliostro risorge e ritorna, dunque. Remake-parodia di Nuovo cinema Paradiso, parabola su due imbecilli (i fratelli La Marca) e la Trinacria Film, casa di produzione cinematografica sui generis, studio critico sulla fine dell’illusione immerso nello stesso illusionismo narrativo di Citizen Kane e Mulholland Drive. Una salutare perdita dell’equilibrio che ricava il maggior utile da Robert Englund nei panni di Errol Douglas, attore hollywoodiano alla frutta, per farci scivolare verso altre apparizioni: Ozu e Fellini, Ed Wood, Murnau e Pasolini...do you remember?
Nino G. D’Attis |
||||||||||||||||||
|