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Speciale Gabriele Salvatores: Io non ho paura, Intervista , Filmografia


Gabriele SalvatoresIntervista a Gabriele Salvatores

di Nino G. D’Attis

 

Gabriele Salvatores sul set di Io non ho pauraPatrizia Wächter, press agent della Sottocorno 17 è stata cortese ma inflessibile: "Hai tre minuti a disposizione per parlare con Gabriele, va bene?"

Dopo l’anteprima romana di Io non ho paura e la relativa conferenza stampa all’Hotel de Russie, ho avuto il tempo di scambiare due chiacchere veloci con Niccolò Ammaniti (entusiasta del film), qualcuna in più con il solare Dino Abbrescia, attore rivelatosi con La Capagira di Alessandro Piva ("Prossimamente interpreterò un poliziotto, poi di nuovo un rapitore...tutto torna!"), adesso ho 180 secondi insieme a un regista con venti anni di carriera e undici film alle spalle. Che fare? È un duro lavoro di ‘editing mentalè: taglio via il superfluo, continuo a tagliare mentre Salvatores, cordialissimo, mi stringe la mano. Ho un ventennio di domande da fargli ma di là, a circa dieci metri di distanza, stanno già guardando l’orologio. Proviamoci.

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Sia con questo film che con Denti, tratto dal romanzo di Domenico Starnone, lei ha indicato in qualche modo una strada al cinema che si produce attualmente nel nostro paese, che è quella di nutrirsi della letteratura italiana dei nostri giorni coinvolgendo lo scrittore nel processo creativo del film. Ci sono al momento altri nostri autori con i quali vorrebbe collaborare?

Ce ne sono, però preferirei non indicarli per tutta una serie di motivi. Credo comunque che nella letteratura italiana, come nel cinema italiano, qualcosa si stia muovendo davvero, soprattutto tra le generazioni più giovani e secondo me adesso c’è anche una corrispondenza di visioni. Credo che quello tra letteratura e cinema sia un vecchio legame e che vada assolutamente usato.

 

Come è arrivato alla scelta di Abatantuono nei panni del cattivo? Ha dovuto faticare per convincerlo?

Mi mancava un po’ in questo film di bambini. Con Diego ho un rapporto particolare, siamo ormai quasi fratelli, parenti, perché abbiamo condiviso veramente tante cose e con lui ho anche un rapporto di odio/amore, ci sono delle cose che odio di lui e tante che amo, naturalmente. Qui c’era secondo me l’opportunità di far vedere un aspetto di Diego completamente diverso. Lui è cresciuto a Milano, al Giambellino, negli anni in cui la malavita organizzata dei vari Vallanzasca e Turatello si era spostata al nord proprio nel periodo che raccontiamo nel film. Spesso, Diego mi raccontava storie di questi balordi da bar, così gli ho proposto di fare qualcosa di diverso da quello che aveva fatto e di non avere paura di far vedere quello di cui lui normalmente ha paura, cioè la pancia, i capelli che cominciano a cadere, lo spazio tra due incisivi...tutta una serie di cose che aveva cercato di nascondere. Si è lasciato andare e secondo me ha fatto una cosa molto importante...

 

Come l’ha presa? Subito bene o...

L’ha presa con interesse, e pian piano credo che si sia molto divertito.

 

È un attore che sa mettersi alla prova.

Infatti. Secondo me potrebbe fare tutta una serie di ruoli che in Italia non sono coperti da nessuno, dovrebbe avere voglia di rischiare un po’, di fare delle cose diverse.

 

Durante la conferenza stampa, lei è stato molto ottimista sull’attuale cinema italiano, ha detto che dovremmo smetterla un po’ di fustigarci, di tirarci merda addosso, ma lei è uno dei pochi registi italiani con un respiro autenticamente internazionale...

Io credo che ci siano alcuni autori, giovani soprattutto, che ci stanno facendo vedere cose interessanti. Penso a Crialese di Respiro, a Matteo Garrone de L’Imbalsamatore...così come credo che se il cinema italiano avrà il coraggio (e mi sembra che lo stia dimostrando) di smetterla di parlare solo di un certo tipo di personaggi, di questa borghesia più o meno interessante, andando ad indagare nei lati più curiosi o meno esposti ci possa far vedere qualcosa di buono. Sì, sono abbastanza ottimista, bisogna dare fiducia a queste persone; il problema è che l’industria cinematografica italiana non dimostra questa fiducia. Facciamo l’esempio di Respiro, un bel film da portare all’Oscar, invece noi portiamo Benigni...Roberto è un amico, gli voglio bene ed è un grande, ma non era Pinocchio il film da appoggiare.

 

Padri e figli: in Marrakech Express i bambini erano il tormentone telefonico di Cederna, oggi sono i protagonisti assoluti di Io non ho paura, ma credo che questo discorso nel suo cinema sia cominciato in Nirvana, con il rapporto singolare tra il personaggio di Solo, eroe virtuale del videogame e Jimmy. È d’accordo?

Molto...sono colpito! Penso proprio di sì, lì ci sono un ‘padrè e un ‘figlio’ che non ha chiesto di nascere e che chiede: "Se hai avuto il potere di farmi nascere, fammi anche morire perché non mi piace vivere così". Lì dentro ci sono un po’ di temi che in effetti ho ripreso e sviluppato dopo...

 

In Denti, ad esempio. Anche lì c’è un bambino, l’infanzia...

Lì c’era il racconto dell’infanzia del protagonista per capirne i problemi da adulto. Io ho uno strano rapporto con i bambini, non ho figli però mi trovo molto bene a giocare con loro, ma qui la cosa interessante è stata che per la prima volta mi trovavo a lavorare con dei ‘cuccioli’.

 

In tutti i suoi film l’organizzazione dell’inquadratura sancisce un rapporto tra lo spazio circostante e la dimensione interiore dei personaggi. Quanta influenza hanno avuto in questo senso i suoi esordi teatrali?

Dico sempre che la cosa che mi ha insegnato di più il teatro è la direzione degli attori ma in realtà è vero che a teatro hai un campo lungo unico come inquadratura che è il boccascena e i personaggi sono lì dentro. A teatro ti poni di più il problema di cosa c’è dietro il personaggio, paradossalmente, perché diventa significante di qualcos’altro. In questo senso, non sopporto i paesaggi raccontati senza personaggi e se ci fa caso, in nessun film che ho fatto c’è la descrizione di un paesaggio se non perché c’è dentro un personaggio che agisce.

 

Ha rinunciato a portare sullo schermo il romanzo Il Cromosoma Calcutta (di Amitav Ghosh, edito in Italia da Einaudi, n.d.r.)?

Purtroppo abbiamo dovuto rinunciare. Rimane secondo me me un sogno aperto...i sogni non finiscono, però non ci sono le condizioni pratiche per farlo. Trovo che sia un romanzo molto bello che racconta il web, la Rete in maniera molto più profonda di come si è fatto in altre cose, però non siamo riusciti a farlo.

 

C’è qualche altro progetto sul quale sta lavorando?

Stiamo guardando un po’ di storie, stiamo leggendo anche dei libri.

 

Quindi, continuando anche a pescare nella narrativa...

Sì, non mi dispiacerebbe continuare questo rapporto.

 

Grazie.