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Sono nuovamente rimasto deluso da un film che aspettavo da tempo. È dagli inizi di febbraio che siamo bombardati in tv dal meraviglioso trailer di The Ring e già pregustavo un piccolo capolavoro del genere. Ebbene mi sbagliavo. Il tanto discusso remake di Ringu, film Giapponese del 1998 non è altro che l’ennesimo psico-horror Americano. Il film che secondo molte riviste avrebbe dovuto tenerci attaccati alle poltrone o che avrebbe generato in noi una fobia per le videocassette così come il famoso effetto doccia di Psycho, non è che un’enorme bufala. Certo a tratti è gustoso, gradevole ma non riesce mai a sollevarsi da questa dimensione. Tra tanti paragoni possibili, l’ovvietà è andata subito a Poltergeist e Videodrome, ma oltre alla figura della tv che uccide non ci sono altri richiami significativi, al contrario il poco dotato Gore Verbinski insegue le orme del maestro Kubrick ossessivamente. Il bambino mediatico, i corridoi della casa come proiezioni della propria paura, le porte che trasudano acqua e invece di due ragazzine ne abbiamo una sola. Insomma alla Dreamworks non sono mai stanchi di riprendere idee kubrickiane. Naomi Watts è sicuramente convincente (e sprecata) nella parte di Rachel, ma è il personaggio stesso come tutto ad essere inconsistente, troppo riadattato ad una dimensione occidentale e malgrado l’impegno dell’attrice perde il suo fascino. Nelle prime scene sembra di rivedere una puntata mal realizzata di X-files , con una Schoully bionda trascinata in un incubo completamente irrazionale, ma è qui che la Watts viene ingiustamente castrata dalla sceneggiatura di Ehren Kruger e non riesce ad evolvere, malgrado i pregevoli tentativi. La storia originale è accattivante e sono sicuro che un David Cronenberg ci avrebbe regalato un universo distorto e claustrofobico o con Wes Craven saremmo stati terrorizzati, ma purtroppo non sempre dei buoni soggetti incontrano grandi registi. L’universo inventato di Kôji Suzuki è tipicamente giapponese e malgrado il riadattamento questo riaffiora di continuo. Basti pensare alla bambina Samara, il suo modo di camminare, i capelli che le ricoprono il viso le mani che ondeggiano mentre i piedi quasi sembrano sollevarsi da terra, non è altro che la classica manifestazione spettrale della terra d’oriente, dove spesso i bambini che non trovano la strada per il Nirvana vengono tramutati in spiriti infernali. La storia dell’arrivo della bambina nella casa di una coppia senza figli e l’inizio di una serie di eventi inspiegabili, è un classico nelle leggende giapponesi dove una volpe o uno spettro scelgono una famiglia da perseguitare. Ora mi chiedo tutto questo dov'è finito? Ciò che realmente spaventa della storia non è la videocassetta senza etichetta, come più volte tenta di convincerci il regista, ma la figura di Samara, l’anima dannata che non trova riposo, colei che non dorme mai e torna a rubare la vita che non ha, il demone bambina che è in ognuno di noi. Il video è solo il mezzo tramite il quale si scatenano un insieme di paure inconsce, portandoci al dubbio che tutto ciò che accade è un incubo, il lato oscuro che si manifesta e ci lascia compiere azioni senza ricordo. Insomma gli spunti per un ottimo horror ci sono tutti, ma è totalmente assente la sensibilità artistica per svilupparli. Un film sicuramente pulito, carino da vedere il sabato sera con gli amici, ma che non solo è un remake, ma anche il clone non dichiarato di Shining. Gore Verbinski farebbe meglio a ritornare a dirigere topolini e commedie esotiche piuttosto che cimentarsi con qualcosa più grande di lui e lasciare ai maestri il cinema. L'unica cosa che fa veramente paura in The Ring è l'ignoranza degli studios hollywodiani, convinti che sia sufficiente avere un budget miliardario per fare un film. Massimo Macchia |
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