|
|
 |
Regia:
Gore Verbinski |
Interpreti: Naomi Watts, Martin Henderson, Brian Cox,
David Dorfman, Daveigh Chase, Lindsay Frost, Amber Tamblyn, Rachel Bella |
Sceneggiatura: Ehren Kruger |
Scenografia: Tom Duffield |
Fotografia: Bojan Bazelli |
Costumi: Julie Weiss |
Musica: Hans Zimmer |
Montaggio: Craig Wood |
Produzione: Walter F. Parkes, Laurie MacDonald, Mike
Macari , Roy Lee , Michele Weisler, Neal Edelstein, J.C. Spink , Benita
Allen, Christine Iso. |
Durata: 115' |
Paese: USA/Giappone Anno:
2002 |
Distribuzione: UIP |
Sito ufficiale:
www.dreamworks.com/ring |
|
|
Sono nuovamente rimasto deluso da un film che aspettavo
da tempo. È dagli inizi di febbraio che siamo bombardati in tv dal
meraviglioso trailer di The Ring e già pregustavo un piccolo
capolavoro del genere. Ebbene mi sbagliavo. Il tanto discusso remake di
Ringu, film Giapponese del 1998 non è altro che l’ennesimo psico-horror
Americano. Il film che secondo molte riviste avrebbe dovuto tenerci
attaccati alle poltrone o che avrebbe generato in noi una fobia per le
videocassette così come il famoso effetto doccia di Psycho, non è che
un’enorme bufala. Certo a tratti è gustoso, gradevole ma non riesce mai a
sollevarsi da questa dimensione. Tra tanti paragoni possibili, l’ovvietà è
andata subito a Poltergeist e
Videodrome, ma oltre alla figura
della tv che uccide non ci sono altri richiami significativi, al contrario
il poco dotato Gore Verbinski insegue le orme del maestro Kubrick
ossessivamente. Il bambino mediatico, i corridoi della casa come proiezioni
della propria paura, le porte che trasudano acqua e invece di due ragazzine
ne abbiamo una sola. Insomma alla Dreamworks non sono
mai stanchi di
riprendere idee kubrickiane. Naomi Watts è sicuramente convincente (e
sprecata) nella parte di Rachel, ma è il personaggio stesso come tutto ad
essere inconsistente, troppo riadattato ad una dimensione occidentale e
malgrado l’impegno dell’attrice perde il suo fascino. Nelle prime scene
sembra di rivedere una puntata mal realizzata di X-files , con una
Schoully bionda trascinata in un incubo completamente irrazionale, ma è qui
che la Watts viene ingiustamente castrata dalla sceneggiatura di
Ehren
Kruger e non riesce ad evolvere, malgrado i pregevoli tentativi. La storia
originale è accattivante e sono sicuro che un David Cronenberg ci avrebbe
regalato un universo distorto e claustrofobico o con Wes Craven saremmo
stati terrorizzati, ma purtroppo non sempre dei buoni soggetti incontrano
grandi registi. L’universo inventato di Kôji Suzuki è tipicamente giapponese
e malgrado il riadattamento questo riaffiora di continuo. Basti pensare alla
bambina Samara, il suo modo di camminare, i capelli che le ricoprono il viso
le mani che ondeggiano mentre i piedi quasi sembrano sollevarsi da terra,
non è altro che la classica manifestazione spettrale della terra d’oriente,
dove spesso i bambini che non trovano la strada per il Nirvana vengono
tramutati in spiriti infernali. La storia dell’arrivo della bambina nella
casa di una coppia senza figli e l’inizio di una serie di eventi
inspiegabili, è un classico nelle leggende giapponesi dove una volpe o uno
spettro scelgono una famiglia da perseguitare. Ora mi chiedo tutto questo
dov'è finito? Ciò che realmente spaventa della storia non è la videocassetta
senza etichetta, come più volte
tenta di convincerci il regista, ma la
figura di Samara, l’anima dannata che non trova riposo, colei che non dorme
mai e torna a rubare la vita che non ha, il demone bambina che è in ognuno
di noi. Il video è solo il mezzo tramite il quale si scatenano un insieme di
paure inconsce, portandoci al dubbio che tutto ciò che accade è un incubo,
il lato oscuro che si manifesta e ci lascia compiere azioni senza ricordo.
Insomma gli spunti per un ottimo horror ci sono tutti, ma è totalmente
assente la sensibilità artistica per svilupparli. Un film sicuramente
pulito, carino da vedere il sabato sera con gli amici, ma che non solo è un
remake, ma anche il clone non dichiarato di Shining. Gore Verbinski
farebbe meglio a ritornare a dirigere topolini e commedie esotiche piuttosto
che cimentarsi con qualcosa più grande di lui e lasciare ai maestri il
cinema. L'unica cosa che fa veramente paura in The Ring è l'ignoranza
degli studios hollywodiani, convinti che sia sufficiente avere un budget
miliardario per fare un film.
Massimo Macchia |