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Noi Albinoi |
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Cinema minimal-esistenziale, delicato innocente struggente come un logoro carillon malandato. Poesia dello stupore infantile, poesia della solitudine, poesia della strategia di fuga. Poesia del non-luogo. La storia: Noi è un adolescente in scarpe da tennis, cappellino di lana e passo incerto. Vive con la nonna, in un paesino di quattro gatti coperto di bianco nel nord dell’Islanda, e ogni tanto passa a trovare il padre, guidatore di taxi alcolizzato e trasandato. Zero amici, forse solo una ragazza niente male tornata dalla città cui imparare a fumare sigarette. A differenza della talentuosa coetanea Sophia Coppola (Lost In Traslation: “perdersi non è mai stato così bello”), il regista disegna l’angoscia del sentirsi maledettamente persi e del non essersi mai trovati. Come nello splendido lavoro della Coppola, dolcezza e ironia delimitano lo spazio dei circuiti esistenziali più laceranti. E soprattutto, l’importanza della musica, che le nuove generazioni di cineasti indipendenti utilizzano con estrema consapevolezza e personalità, come pochi in passato. Il regista si chiama Dagur Kari, classe 1973, studente di Cinema in Danimarca, Islandese. Firma come film-diploma il corto Lost Weekend ponendosi da subito alla ribalta di innumerevoli festival europei. Noi Albinoi è il suo primo lungometraggio, di cui è autore della sceneggiatura e delle musiche, assieme alla sua band Slowblow (all’attivo due album). Segni stilistici: macchina fissa, inquadrature rigorose, fotografia scarna e graffiante da videoclip trendy di ultimo grido. Pregio #1: la capacità di far parlare gli oggetti, l’ambiente, i silenzi, i movimenti, l’eco dei passi nelle stanze vuote. E poi, la solita magia: poesia sorda nella neve, poesia dei diciassette anni isolati dalla scuola, dai padri, dai soldi, dalla disciplina, dagli alcolici vietati, dai piedi infreddoliti, dalle palme delle Hawaii dell’immaginario collettivo. Dagur Kari: testa da tener d’occhio. Attualmente impegnato a Copenaghen nella lavorazione di un film “Dogma”. (A. S.) |
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