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WONDERLAND |
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John Holmes andava davvero al massimo. Almeno a 300 Km/h e anche di più, come si legge nella sua autobiografia Re del porno. Brancolava nell’illecito, frequentava persone per niente raccomandabili che finivano regolarmente col cacciarlo in un mare di guai. Sbattimento, arte di arrangiarsi per sbarcare il lunario e per raccattare un’altra dose finiti i soldi guadagnati con l’ultima pellicola girata. Vita di merda tra le palme della Città degli Angeli. Hic Sunt Leones: Mister Cazzolungo era al corrente della cosa. Wonderland di James Cox non è un biopic come The Doors di Oliver Stone o l’imminente The Aviator di Scorsese. Non è neppure il Boogie nights del nuovo millennio ma la rievocazione di un momento particolarmente drammatico della vicenda umana del pornoattore che smessi i panni del detective a luci rosse Johnny Wadd conduceva un’esistenza da freak. Holmes il reietto versus l’Holmes che lavorava facendo sesso attirando quel pubblico che dopo Gola profonda e The Devil in Miss Jones faceva la fila per vedere un po’ di vera azione al cinema. Nel luglio del 1981, a Wonderland Avenue, Los Angeles, quattro sue conoscenze del giro tossico vengono massacrate in modo orribile. Accade al numero civico 8736, dopo una folle rapina ai danni del malavitoso Eddie Nash, ricettatore e piccolo trafficante di armi e droga. Nash è un serpente a sonagli. Brutto ghigno, pessime maniere: conviene tenersi alla larga da campioni del genere. Holmes c’è dentro fino al collo ma la verità su quegli omicidi non è mai affiorata per intero: quattro cadaveri, pareti schizzate di sangue, ossa craniche e materia cerebrale e nessun assassino, nessun mandante. La verità, come è noto, non viene mai a galla se tutti sguazzano in un oceano di merda. Il film di Cox ha tra le sue carte migliori un immenso (e purtroppo ripetutamente sottovalutato) attore come Val Kilmer, attorniato dalla brava Lisa Kudrow, dalla ventunenne Kate Bosworth e dai ben ritrovati Eric Bogosian e Carrie Fisher (oh, Principessa...), poi, indubbiamente, una ricostruzione molto fedele della L. A. anni Ottanta (tossica, tardo-hippie, sboccata quanto lo Sgarbi dei tempi d’oro) per un noir circolare, saldato dalle testimonianze di diversi personaggi coinvolti a vario titolo nel fatto di sangue. Ciascuno con una sua versione, un tassello da aggiungere come in un Citizen Kane impolverato di cocaina, un Rashômon inscenato nell’angolo più lercio di Hollywood. Si procede per accumulo di parole e di immagini: è un labirinto, un incubo dai colori forti, dal montaggio irrequieto che deve molto al cinema di Oliver Stone e che qui rende apprezzabile un’impresa che evita più che dignitosamente tanto il luogo comune, quanto quel moralismo che oggi tira alla grande sotto l’etichetta di politicamente corretto. Disperato, a dir poco. Perché Wonderland Avenue non è una strada meravigliosa.
(V.L.) |
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