Sant’Ozzy nel basso degl’ìnferi,
come hai potuto farmi questo? E anche tu, Anthony Frank Iommi, tizzone
d’inferno! Tu non hai scuse, Tony. Mica ti è toccato sciropparti le
telecamere di un reality griffato MTV tutto il giorno per quattro
stagioni di fila.
Date retta a un fesso e
fate in modo di osservare il vecchio adagio: se pretendi rispetto, devi
offrire rispetto. Una versione deluxe di un classico della storia del rock
per come la vedo io non può essere fuffa per abbindolare il prossimo.
La nota
stampa è bella pomposa, ohibò: “Throughout the history of rock some albums
are considered to be historic works either for breaking a new sound or
transforming a little known band into Icons of their genre.”
Capito? Cose in grande per
grandi nomi, almeno sulla carta. Qui abbiamo tre compact: nel primo l’album
originale; nel secondo la versione in quadrifonia del medesimo (è del 1974
ed era già apparsa un tot di anni fa all’interno di un box retrospettivo
della band, quindi non ci provate!); nel terzo 6 versioni strumentali e 2
alternative lyrical versions, tutte facilmente reperibili in rete.
Risultato? Una mezza presa per il culo, a voler essere buoni (il booklet,
quello sì, è una delizia per gli occhi, così come l’edizione in doppio
vinile bello pesante).
Stiamo parlando di
Paranoid, annata 1970, quando i Black Sabbath ci davano ancora dentro
come maledetti a fare dischi onesti e sudati. Un disco d’oro, cinque di
platino in patria (e senza l’aiuto di passaggi radiofonici), quattro negli
Stati Uniti. L’opera numero due di una saga che, almeno per il sottoscritto,
arriva fino a Technical Ecstasy (1976) e Never Say Die! (1978)
prima di trasformarsi in pura farsa. L’album di War Pigs e di Iron
Man, della cosmica cavalcata proto-doom Planet caravan e,
naturalmente, della title-track (diventata un evergreen malgrado le
intenzioni iniziali del gruppo che la vedeva più che altro come un
riempitivo di 2’ e 52”). Il produttore del gioiello era Rodger Bain, che
negli anni successivi avrebbe messo la sua firma su dischetti così e così
(il debutto dei Budgie, poi Rocka Rolla dei Judas Priest, poi ancora
le scoregge sinfonico/prog dei Barclay James Harvest). L’ingegnere del suono
era Tom Allom, detto ‘The Colonel’ e coadiuvato da Brian Humphries. Me le
immagino le sessions tra i Regent Sound Studios e gli Island Studios.
Mi
immagino la faccia di Ozzy davanti al microfono, cazzarola:
“People think
I'm insane / Because I am frowning all the time / All day long I think of
things / But nothing seems to satisfy”. Un disco polveroso?
Niente affatto.
Leggete
ancora un po’ le liriche: “Politicians hide
themselves away / They only started the war / Why should they go out to
fight? / They leave that role to the poor” (War Pigs).
Un lavoro che però, nel rispetto per le generazioni vecchie e
nuove di estimatori, avrebbe meritato molto di più, ad esempio un intero
dischetto con registrazioni live del periodo. Ce ne saranno di sicuro negli
archivi personali di Iommi e dell’anziano picchiatello Ozzy, in qualche
magazzino della casa discografica, nel ripostiglio delle scope dei camerieri
filippini di Sharon Arden Osbourne. Basta guardare bene, mettendo per un
momento da parte la maledetta fretta di scucire altri soldi ai fans.
(J.R.D.)
|