“Even now in heaven there were angels carrying savage weapons”
(Eye 4 an Eye)
Strategie su strategie. Ti spari per intero il saggio di Tommaso Pincio
sugli alieni e cerchi di convincere la tua stupidissima ex danese a
filarsela una volta per tutte nel deserto del Mojave. Perché presto o
tardi, esseri provenienti da una galassia lontana, potrebbero venire a
prendersela lasciandoti finalmente libero di ascoltare in santa pace i
tuoi dischi preferiti. Nessun rimpianto: in cucina era un disastro, a
letto era una fanatica della missionaria e (adesso arriva la mazzata!)
più di una volta ha passato il limite introducendo nel tuo appartamento
della spazzatura tipo Bright Eyes, Bonnie
‘Prince’ Billy e Mando Diao.
Ma è finita. Basta staccare il telefono fisso, il cellulare, quella
porzione di cervello collegata al Pendolo di Siffredi e tutto gira
meglio. E poi il postino ti ha appena consegnato un pacchetto
proveniente dal glorioso Regno Unito e dentro il pacchetto c’è un
oggetto rosa alieno che ti invita ad ascoltare l’ultima trovata di uno
dei progetti più degni di attenzione dell’universo.
Strategie su strategie. Da due anni a questa parte, quando non sono
occupati a remixare i pezzi altrui (tra le ultime cose, la migliore
versione di John the revelator dei Depeche
Mode ascoltata fin qui) gli Unkle non fanno altro che smontare e
rimontare il loro capolavoro Never Never Land per la gioia dei
loro ammiratori più devoti. E se fossero una banda di svaccati
qualsiasi, potremmo liquidare la faccenda in poche righe e archiviare il
caso sotto la voce “Pigrizia”. In realtà, questa nuova full immersion è
a tutti gli effetti un opera indipendente che nasce dall’utero di un
album pieno zeppo di idee, pulsazioni, melodie stranianti. Come dire: l’Apocalypse
Now – Redux della psy-dance (o science-dance, chiamatela come
vi pare). Un’opera monumentale in quattro cd custoditi dentro un
elegante cofanetto che accorpa materiali nuovi come la muscolosa Burn
my shadow (al microfono e alla chitarra Ian Astbury dei Cult) e
remix assortiti di RJD2, DFA, Total Science, Junkie XL, Sasha, Evil 9,
Ape Sounds, Hybrid, Meat Katie.
Ancora una volta, gli alieni James Lavelle & Richard File (ci si deve
levare il cappello di fronte a ‘sti due tizi) aprono le porte del loro
laboratorio sonoro disseminato di provette contenenti tutti i bacilli
della storia del rock e della musica da ballo. Lo spettro varia dal dark
più vischioso ai grooves chill out, dagli incanti mistici di sapore
doorsiano (la succitata Burn my shadow
sviscerata nelle tre tracce d’apertura) alla ballata rave di
sapore elegiaco (In a state, da manuale di stile il cameo di un
Moby folgorato sulla via di un graditissimo riassestamento estetico)
procurando a intervalli più o meno regolari la sensazione di trovarsi
all’interno di un’esperienza sconcertante, tutta cunicoli che
introducono a infiniti, incantevoli sottomondi.
La vastità degli orizzonti nella musica degli Unkle contempla la
possibilità di tramutare ogni fonte, ogni campione utilizzato nel
fantasma di se stesso a favore di una deriva onirica tutta vortici,
cluster, breakbeats, stacchi di beatitudine che rischiarano le zone più
nebbiose ed oscure. La dance spinta al limite dell’(apparente)
instabilità, una dissoluzione di forme che restituisce una visione
simile a un cantiere in perenne costruzione. Come sarà il prossimo disco
degli Unkle?
(J.R.D.)
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