Ma che bella botta il nuovo album dei Primal Scream! Gente che in tempi
di letargo di grandi stelle del firmamento rock ricorda ancora di aver
dato in pasto al mondo tre capolavori assoluti nel corso di una oramai
lunga e più che decorosa carriera (ventisette anni in pista, mica male,
eh?). E i dischi in questione sono Screamadelica (1991),
Vanishing Point (1997) e l’imprescindibile
XTRMNTR (2000).
Roba che i pischelli di oggi dovrebbero studiare sui banchi di qualsiasi
Rock’n’Roll High School che si rispetti, piuttosto che sprecare tempo
con le seghe da nerd tipo ‘Guitar Hero’ e ‘Rock Band’.
I Primal Scream sono una ragione per vivere. I Primal Scream sono una
ragione per continuare ad ascoltare musica quando la maggior parte dei
fenomeni da baraccone è occupata a sfoggiare una totale mancanza di
coinvolgimento in ciò che fa. I Primal Scream sono il trionfo
dell’intelligenza nel disfacimento culturale che dilaga. È fantastico avere
degli eroi. Gli eroi ti tirano su con un pugno di canzoni oneste, con quei
lampi di sacro fuoco che una volta riuscivano a mettere insieme le persone
intorno ad un giradischi.
Bobby Gillespie maestro di stile, generale in prima linea al comando di
una pattuglia di eroi senza paura: Andrew Innes (chitarre), Mani (basso),
Martin Duffy (tastiere) e Darrin Mooney (batteria). E se il presente della
musica fa pressoché schifo, i Primals (re)inventano un bel futuro
confezionando un lavoro di pop moderno anticipato dal singolo
Can’t go
back (due diverse B-sides: Jesus is my air-O-plane nella versione
cd ed Urban guerrilla in quella a 7” in vinile rosso). Coretti
micidiali, ritmo serrato, produzione curata da Paul Epworth (Bloc Party, The
Rakes), un videoclip che è un dichiarato omaggio al cinema di Dario Argento
(Suspiria in particolare). Perché le anime della band fondata dal
figlio di un militante socialista scozzese sono almeno tre: quella R’n’R di
stampo Rolling Stones/Stooges/MC5, quella più sperimentale influenzata
dall’onda post punk (P.I.L.) ed elettronica e quella pop, appunto, sintesi
delle prime due, pentolone nel quale sguazzano gli anni ’70 ed ’80 del
secolo scorso (Uptown sembra uscita da un’antologia dedicata all’era
dello Studio 54 della Grande Mela; Zombie man sa di Stoccolma, di
glam, di Abba) ma anche l’Iggy Pop di The Idiot, il
Bowie di Let’s
Dance (in Glory of Love). A sorpresa spunta la cover di Over
and over dei Fleetwood Mac cantata in duetto con la folksinger Linda
Thompson (nell’originale, contenuta nel doppio Tusk del 1979, era
affidata alle corde vocali di Stevie Nicks). Ancora, parlando di ospiti,
ecco le collaborazioni annunciate con Lovefoxxx (vocalist dei CSS), Björn
Yttling dei Peter, Björn and John, e con quel prezzemolino di Josh Homme dei
Quees Of The Stone Age (per la conclusiva, psicotica Necro Hex Blues).
Funziona tutto, con lo smalto dei verdi anni e l’esperienza rodata sui
palchi di mezzo mondo. Si chiama chimica, ed è qualcosa che gli Arctic
Monkeys, gli Interpol o i The Music non raggiungeranno mai, neppure quando
sarà arrivata l’ora di mettere la dentiera.
“I'm a street fighting dancer / I'm a revolutionary romancer / I'm society's
cancer / I'm a two-tone panther…”
(J.R.D.)
Primal Scream (Evil Heat)
Primal Scream (Dirty Hits)
Primal Scream (Riot City
Blues)
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