È
una lunga storia quella che proverò a riassumere per brevi flash nello
spazio di questa recensione. Una storia che ha inizio a Lecce nella prima
metà degli anni ’90 e che vede quattro buffi ragazzini sgomitare nel solito
garage maledettamente stretto, stipato di strumenti e fidanzatine, di amici
venuti a curiosare. È esattamente così che cominciano le cose: il sound è
acerbo, il bassista ha 16 anni, sembra Obelix e arrossisce se gli chiedi che
ora è; il batterista pare sgattaiolato fuori dalla porta di casa senza il
permesso dei genitori. I quattro sono testardi, determinati a trovare una
formula efficace, a carburare insieme fino alle prime, vere esibizioni in
pubblico, fino al fatidico demotape da far passare di mano in mano.
Suonano un rock influenzato dai Cure e da molta
neopsichedelia Eighties. Negli anni a venire, la loro inarrestabile
curiosità li porterà altrove, indietro nel tempo (ai ’60, al garage beat,
alle magie vocali di Beatles e Beach Boys), poi
di nuovo avanti (la lezione dei Pixies, l’aria della No New York). In mezzo
ci sarà una breve e poco convincente fase con il cantato in italiano
documentata da un paio di mini cd autoprodotti che nella discografia della
band seguono il brillante album d’esordio Ever
ready uscito nel 1997 per la Magenta Records, etichetta leccese
dalla vita men che effimera.
Il
sostegno di un pubblico di aficionados sempre più ampio ripaga gli sforzi di
Stefano Todisco aka Tobia Lamare (voce e
chitarra), Cesare Liaci (chitarra),
Antonino De Blasi (basso),
Osvaldo Piliego (batteria): in poco tempo il
livello compositivo si affina, l’affiatamento diventa fratellanza. Ogni
concerto è una sorpresa, uno show di suoni e trovate strabilianti. La band è
generosa, spontanea, capace di metterti al tappeto con una battuta
fulminante sussurrata al microfono tra un pezzo e l’altro, con un groove
micidiale che rimette in circolo northern soul e punk, indie da cameretta e
bordate chitarristiche in onore dei santi padri Bo Diddley e Pete Townshend.
Per non parlare dei side-projects/travestimenti impossibili: gli Psycho Sun
nei panni di un’improbabile band teutonica che pasticcia ad arte con wave,
kraut-rock e psichedelia. Come la banda dei cuori solitari del fantomatico
sergente Pepe. Come gli XTC che giocano a fare i Dukes of the Stratosphear.
È
a questo che penso quando partono le prime note di
Lovers, brano che apre il nuovo “Silly things” appena
pubblicato dalla Urtovox. “Cose sciocche”? Le virgolette sono d’obbligo: sto
ascoltando un gruppo che ha macinato chilometri, pestato duro sugli
strumenti, affrontato più volte e a testa alta la fossa dei leoni di
pubblico e critica senza mai venir meno ai suoi propositi, alla prima regola
che ogni band della terra e di altri pianeti dovrebbe rigorosamente
osservare: divertirsi sul serio, senza fare prigionieri.
Oggi si festeggiano alla grande dieci anni di un’avventura musicale che è
prima di tutto una bellissima avventura d’amicizia. E si sente: l’album (che
vede tra l’altro la partecipazione straordinaria di Sua Maestà
Gianluca De Rubertis, tastierista degli
StudioDavoli) gira che è una meraviglia tra
lampi di rock’n’roll non edulcorato (What’s going on e l’inno per
saltare come grilli sotto il palco The King), energia sonica con le
stimmate del classico immortale (Ben and Cicely, ispirata dalla
lettura del romanzo di Jonathan Coe La Banda dei brocchi), ballatone
strappamutande come l’immensa About your man,
dalla colonna sonora di Fumo,
cortometraggio diretto da Ippolito Chiarello e interpretato dagli stessi
Psycho Sun, quindi cartoline sparse allo zio Lou dei Velvet Underground (Time;
Something is happening), ai Pixies (Change my time), al sogno
inglese del 1977 che incrocia le strade dei Ramones
e dei Doctor Explosion (Corvette). Gran finale morbido affidato alla
doppietta costituita dall’arcobaleno acustico della title-track e dallo
strumentale Walzer nice plane.
37’ e 44” per un gioiello pop da esportazione che dà la scossa all’encefalogramma
quasi completamente piatto della musica prodotta in Italia. La stanza dei
giochi (come da foto di copertina, opera di Alice Pedroletti) di quattro
folletti alieni meravigliosi e puri: r’n’r e ancora r’n’r con amore, con
furore!
(N.G.D’A.)
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