Sì, questo disco è una
follia. Tutta la sua lunghissima gestazione, i rumors, le smentite, la
line-up originale che si sfalda, il disappunto dei fans, quelle mezze seghe
degli Offspring che nel 2002 annunciarono di voler scippare il titolo ad Axl,
il giocatore di baseball Mike Piazza
che fa trasmettere un pezzo dell’album proibito a una stazione radiofonica,
la guerra ai siti web che diffondono quasi tutte le canzoni in scaletta…Poi
la chimera si rivela al mondo e a suo modo ci costringe a mettere da parte
le stronzate: 14 brani in 71 minuti e 26 secondi, forse il disco più
costoso della storia (più di 13 milioni di dollari, secondo le stime ferme
comunque al 2005). Il signor William Bailey Rose Jr., in arte Axl Rose, ha
partorito un mostro in parte preistorico, in parte giunto da un possibile
futuro del rock.
È vero che, come ha già
osservato qualcuno, Chinese Democracy
avrebbe sicuramente avuto un impatto commerciale totalmente diverso se fosse
uscito sette-otto anni fa (è cambiata la fruizione, l’attenzione della gente
verso la musica, i ventenni di oggi - né grati né ingrati, semplicemente
imbecilli a dispetto di quanto scrivono Moccia e Bajani - pensano che Duffy
sia cool e che i Tokyo Hotel scrivano canzoni) ma se il confronto è con le
uscite contemporanee degli ultimi dischi dei
Metallica e degli AC/DC, la
nuova incarnazione del gruppo nato a Los Angeles nel 1985 straccia gli
avversari ai punti: la band di Lars Ulrich e James Hetfield ha pubblicato il
suo lavoro migliore dai tempi di Load; gli australiani guidati dai
fratelli Angus e Malcolm Young sono usciti dal letargo con un buon disco di
classico hard rock che nulla toglie e nulla aggiunge (che palle!) alla loro
immagine.
Axl è invece il tiranno
ambizioso e fuori di testa (un po’ Brian Wilson, un po’ Stanley Kubrick) che
conoscevamo dal quadruplo Use Your Illusion I & II: gli piacciono i
Beatles, i Sex Pistols, i Led Zeppelin,
i Queen; negli ultimi anni ha tenuto d’occhio i Nine Inch Nails di
Trent Reznor. Ha studiato, ha avuto
fiuto nel reclutare il suo esercito personale pescando tra i soldati
migliori: Tommy Stinson, bassista dei Replacements; Josh Freese e Robin
Finch del giro NIN; Paul Buckmaster e Marco Beltrami per gli arrangiamenti
orchestrali; perfino Moby come
consulente alla produzione. Credo che una lista completa di nomi non
ce l’abbia neppure l’ufficio amministrazione della Geffen, ma in fin dei
conti non è importante.
Dentro Chinese
Democracy pulsa un puro cuore rock che investe l’ascoltatore, lo stende,
lo conquista più del delirio di onnipotenza del suo ideatore: i testi
bellissimi, il sound pieno, gli assolo di chitarra meravigliosi (confesso di
essermi dato una smanacciata all’attrezzo con quello di
There was a time ed è stato come
andare a letto con Jessica Alba e Rosario Dawson insieme tra secchiate di
caviale e champagne che macchiavano federe e lenzuola di seta nera). Ci sono
canzoni che adoro e che resteranno: Street of
dreams, ad esempio; pianoforte, bel riff di chitarra, inciso
che si imprime immediatamente in testa, assolo alla Brian May (Axl aveva
chiamato anche lui, poi ha cambiato idea, vai a sapere perché). E la
successiva If the world, inclusa nei titoli di coda del film di
Ridley Scott Nessuna verità (tra
parentesi consigliatissimo: Di Caprio ha smesso di fare il bamboccio
pulitino e Russel Crowe sfoggia con orgoglio panza e doti da grande attore).
Ecco, se Scraped e
Rhiad and the bedouins la buttano in caciara rivelandosi (testi e
diorama ritmico a parte) gli anelli più deboli e datati della collana; se
Sorry fa molto Rolling Stones anni ’90 addizionati ai rivali Metallica
dello stesso periodo (mettiamo Nothing else matters dal Black
Album), If the world è la canzone più fresca del disco: un
funkettone futuribile sostenuto da belle percussioni, chitarre NIN
sovrapposte a sei corde latineggianti e stacchi dritti e famelici. E mi
piace anche There was a time, l’ho già detto.
Gran viaggio,
gran testo che fa: “Broken glass and cigarettes /
Writin’ on the wall / It was a bargain for the summer / An I thought I had
it all / I was the one who gave you everything / The one who took the fall”.
Mi piace Catcher in the rye, tra Beatles, Red Hot Chili Peppers e gli
stessi Guns di Use Your Illusions.
Poi ci sono Madagascar,
un'onda anomala più Led Zeppelin degli stessi Zep nella loro età
orchestral-orientaleggiante, e la conclusiva Prostitute che (non è
una bestemmia) farebbe la sua porca figura anche in bocca a Robbie Williams.
Insomma, con buona pace
della Repubblica Popolare cinese e dei suoi tabloid di Partito ‘sto disco
bisogna proprio ascoltarlo. Con molta attenzione, si capisce. Come si faceva
con i vinili di una volta, quando avevamo tempo per ascoltare un album per
bene, lato per lato, mandando a memoria i testi, cercando di capire le reali
intenzioni dell’artista. Relax, ragazzi! L’età che stiamo vivendo ci
costringe ad essere superficiali con tutto, ad andare avanti facendo tutto a
cazzo di cane. Anche le cose che dovrebbero darci piacere (sesso incluso).
Beh, ‘fanculo, io voglio ancora prendermi tutto il tempo necessario. Il rock
è questo e io sono rock. A questo punto della sua vicenda artistica,
parafrasando Philip K. Dick, anche Axl Rose
potrebbe tranquillamente dire: “Io sono rock, voi siete morti!”
(J.R.D.)
Sito ufficiale dei Guns N' Roses
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