“Sono contento di come è
venuto questo album, è nato da un viaggio che ho fatto negli States, mi
sono ritrovato con un po’ di canzoni e volevo inciderle con i miei
amici.” Queste le parole di Stefano Todisco aka
Tobia Lamare, quando sono andato a trovarlo nella sua
splendida masseria in campagna giù in Salento, oggi anche sede della
neonata Lobello Records. “Un altro passo da indipendente”, dice. “Sono
sempre stato indipendente, in fondo è meglio così perché ti ritrovi ad
avere più controllo su ciò che fai…guarda il packaging del disco con l’artwork
di Erik Chilly, non è un
capolavoro?” Nel 2010, Stefano diventerà padre, andrà in tour con i
Sellers (con alcune tappe all’estero, tra le quali Londra e Barcellona),
pubblicherà un nuovo lavoro con gli Psycho Sun,
i suoi vecchi compagni: “Anche quello è pronto, mettiti comodo che ti
faccio ascoltare un paio di pezzi in anteprima…ti va un caffè americano?
Io ormai bevo solo quello!”
Parte la musica e con
essa anche i flashback del sottoscritto: una quindicina di anni di
ricordi, l’ultimo dei quali risale all’inverno del 2008, quando Tobia
Lamare apparve a sorpresa con una delle sue chitarre mentre stavo
presentando il mio secondo romanzo in una libreria di Lecce. Oppure, più
indietro nel tempo, la volta in cui ero ospite della masseria e il
Generale Custer, padre di Tobia, mi spedì a domare eroicamente
l’incendio di un campo di grano. L’aneddoto viene fuori puntualmente ad
ogni occasione d’incontro, quasi sempre associato al segreto del ‘ciambotto’,
ricetta culinaria improvvisata (e per tale ragione avvolta nel fitto
mistero) che eravamo soliti assemblare mettendo insieme ciò che c’era da
raccogliere nei campi quando il supermercato più vicino risultava già
chiuso da ore.
Il ragazzo ha un
sorriso, un’energia che contagiano chiunque gli stia davanti. E sto
parlando di doti che, sommate ad un notevole talento, producono sempre
ottimi risultati. Il debutto di Tobia Lamare & The Sellers (Osvaldo
Piliego, batteria; Alfonso Cannoletta, chitarra; Marco Santoro,basso;
Antonio Candido armonica) lega la lunga esperienza in campo musicale di
tutte le parti coinvolte ad una freschezza diventata merce rara nel
panorama pop attuale. Anche i salentini possono cantare il country, il
blues, le ballate indie-folk un po’ sbilenche che incontrano le strade
di Neil Young, Lou Barlow, e i
Pavement come pure (succede in You are my radio) quelle dell’electro-pop
di matrice europea primi anni 80. E magari a leggere una cosa del genere
viene facile storcere il naso (maledetti scettici!), però vi assicuro
che è così. The Party è un
concept, quasi un romanzo in musica incentrato sull’atmosfera di una
festa, sui personaggi che si incontrano in un luogo in cui si balla, si
sta insieme a chiaccherare o a bere qualcosa, gli sguardi si toccano e
magari scatta un flirt. C’è Dylan a braccetto con i Sebadoh
nell’iniziale A weekend out sorretta da un’armonica assassina.
C’è un po’ di West Coast Seventies nella successiva Silver,
mentre Dear dear incede ad un mood malinconico alla Hank Williams
che prepara alla successiva Girls with pills tutta ritocchi di
chitarra e pianoforte (affidato alle mani di Gianluca De Rubertis). Il
cuore del disco si apre nel trittico formato da Sweet dance
(fumosa, notturna, capace di evocare le zampate di vera classe di Willy
De Ville), la ballata perfetta Taking in the
rain e la nervosa My stormy
days, cioè il benedetto pezzo che Beck e Jon Spencer non
riescono a scrivere da qualche anno a questa parte, per giunta mixato da
Matilde De Rubertis.
“Penso che queste
canzoni riflettano ciò che sono oggi”, dice Tobia. “Vivo qui nella
masseria con mia moglie Cecilia, produco agricoltura biologica e le
canzoni che ho in testa ogni volta che mi chiudo in sala prove. Faccio
serate da dj e per il mio lato rock’n’roll ho sempre gli Psycho Sun.” È
felice, e gli credo sulla parola. Questo disco parla proprio di lui.
(N.G.D'A.)