A sorpresa, quasi senza
avvisare, è uscito il terzo album dei Chaos|Order. Sei lunghi anni sono
trascorsi da The Monroe transfer, l’album “bianco” del trio
romano, quello con Klick klick e Doggy style
tutto minimal
trance da snowboard sul monte di Venere di Sasha Grey.
Riccardo Chiaretti,
Andrea Capanna e Tiberio D'Aquino avevano interrotto le trasmissioni
proprio sul più bello lasciandoci orfani di una delle realtà musicali
migliori nate e sviluppatesi in Italia (ho in mente solo un altro nome:
Pankow, il resto è francamente marginale). Dove cazzo erano finiti?
Domanda irrilevante quando il ritorno ha la consistenza di un lavoro
monumentale, addirittura doppio nella versione limited di sole 150 copie
(il disco gemello, più grezzo e oscuro si chiama
Flood), ed è
accompagnato dalla promessa di essere qui per restare. Perché i
Chaos|Order hanno ricaricato le batterie (e si sente!) e negli stessi
giorni in cui il lavoro vede la luce su etichetta Rustblade (vera e
propria factory che coinvolge musicisti e artisti di varia estrazione)
dichiarano di aver ritrovato l’ispirazione di un tempo, al punto che non
dovrebbe passare molto prima del rientro in studio di registrazione per
mettere a fuoco nuovi brani.
Prima di affrontare il
futuro, la band sceglie però di chiudere una trilogia ideale sui colori
cominciata con il nero del disco di debutto: è il momento del rosso,
sottolineato dal titolo e dalla bella copertina in stile “clinical”. È
anche il momento di consegnare agli ascoltatori quello che purtroppo
rischiava di diventare l’album fantasma dei Chaos|Order: cominciato nel
2004, poi interrotto (complice la chiusura dell’etichetta Karnak che
fino a quel momento aveva pubblicato le loro incisioni), infine ripreso
l’estate scorsa, integrato con materiale nuovo di zecca.
La ricca formazione
culturale, le spiccate attitudini creative, lo stile personale e
stratificato del trio portano ancora una volta ad assaporare il frutto
maturo di percorsi sperimentali e di contaminazione. Il rumorismo
industriale, a tratti dadaista presente sulle cassette a tiratura
limitata degli esordi è il fluido che scorre sotto la pelle sintetica di
un album che si apre con le pulsazioni fisico-sensoriali di Footsteps
e incalza subito dopo con le suggestioni ancestrali, enigmatiche
(testo in sanscrito) di Dynamic Darkmoor, a sua volta preludio a
Omega woman, pezzo perfetto per alzarsi dal letto la mattina e
trovare il mood giusto per affrontare il mondo. In matematica, ω indica
il primo numero ordinale infinito, in fisica la velocità angolare, in
astronomia i parametri orbitali di longitudine. Frank Tipler e le sue
formulazioni sul concetto di progresso eterno, gli enunciati per
studiare il destino ultimo dell'universo. Brandon Carter e il principio
antropico. Io ci metterei altresì il multiverso in P.O.V. secondo Jenna
Haze. Ecco, pensate a tutto questo e moltiplicatelo al sound più sexy
sulla terra: caldo e…uhm, anche piuttosto umido.
Più claustrofobica
l’atmosfera di Mover, brano serrato e stridente, livido e
cacofonico nel suo procedere a 140 bpm per scosse sismiche al sistema
nervoso dell’ascoltatore. Groove Boyz, mutuata dagli
Inner Circle,
sfodera a sorpresa una virata verso il funk mentre Pazzaglini
Receiver, in memoria del neuropsichiatra Mario Pazzaglini, autore
tra l’altro di Symbolic Messages: an Introduction to a study of alien
writing, un saggio sulla scrittura aliena, è trance minimale al
100%, una carta d’imbarco per Koh Pan Gan, Byron Bay o per una valle del
Nepal…in parole povere, una gran botta dall’impianto potente e pulito.
A chiudere in maniera
eccellente il disco provvede il trittico composto da The Ultimate
hack, Last Generation in Flesh e la bonus track Candle,
quest’ultima una cover dei canadesi Skinny Puppy. La qualità non cala di
un millimetro e alla fine ci si trova d’accordo con la band che nelle
note di copertina definisce il lavoro “a journey to the deepest dreams
of eternity”.
Ancora affamati? Beh,
allora fate in modo di procurarvi l’edizione limitata: sul secondo cd vi
attendono altri 9 colpi, tra i quali 8888 (lyric terror); CO2;
Treffen killah e un’altra cover, ovvero The Golden wedding of
sorrow dei Death In June.
Metti su un album come
questo e, che tu sia intrappolato in mezzo al traffico nell’ora di punta
o sbracato sul letto, insonne alle tre del mattino, non hai bisogno di
assumere altre droghe.
(J.R.D.)
http://www.myspace.com/chaosorderebm
http://www.rustblade.com/new/review/chaosorder_blood.html