“I have
burned my tomorrow / And I stand inside today / At the edge of the
future / And my dreams all fade away / And burn my shadow away / Fate’s
my destroyer / I was ambushed by the light / And you judged me once for
falling / This wounded heart arrives / And burn my shadow away / When I
see the light / True love forever / Burn my shadow / Oh burn my shadow
away / And burn my shadow away / Oh how I loved you”
Suppongo che sia una cosa
abbastanza comune: sei impegnato nel rush finale del tuo prossimo libro,
l’ultima stesura (la più difficile, c’è poco da tirarsela!) e di colpo
non riesci a leggere i libri degli altri. Pile di volumi in ogni angolo
della casa: alcuni acquistati, altri ricevuti. Tutti intonsi. Le uniche
cose che leggi e rileggi, munito di matita e righello da secchione, sono
i saggi che hai utilizzato per documentarti negli ultimi due anni (due?
È già trascorso tanto tempo da quando hai buttato giù le prime idee per
il nuovo romanzo?). La musica no, quella continui a sparartela. Sei il
tipo di scriba che alterna giornate di silenzio ad altre con lo stereo a
palla (di notte è consigliabile munirsi di cuffiette per non sfasciare i
nervi a chi dorme nella stanza accanto). Usi la musica per picchiare
meglio sulla tastiera del pc. Usi la musica che stanno ascoltando i
personaggi che hai creato. Usi la musica come il caffè e le sigarette
(OK, in mezzo c’è qualche lattina da 50 cl di 3 Horses). E scopri che a
volte ci sono dischi che riesci ad assorbire, ad amare, come se fossero
romanzi. Accade sempre più di rado, ma per fortuna accade ancora e
questo non può che essere un buon segno.
War Stories,
terzo effettivo lavoro in studio degli
Unkle (in mezzo ci sono il mix
album Edit Music for a Film: Original Motion Picture Soundtrack
Reconstruction e
Self Defence: Never, Never, Land Reconstructed
and Bonus Beats), preceduto di un paio di mesi dal doppio 7”
Night’s Temper EP (a prelude to War Stories) appartiene per me a
questa categoria. Musica che ha il potere di evocare con pochi elementi
immagini di strade perdute, deserti arroventati, cieli stellati in
lunghe notti d’estate. Stephen King,
Cormac McCarthy
e il vecchio Joe R.
Lansdale saprebbero fare altrettanto con la scrittura, lo Spielberg di
Incontri ravvicinati del terzo tipo c’era andato vicino. Capite
cosa intendo? War Stories è sanguigno. War Stories verrà
ricordato dai posteri come il primo disco terrestre degli alieni Unkle,
unici tra i grandi protagonisti della scena electro degli anni ’90 a non
essere finora incappati nella tremenda trappola della ripetitività
creativa.
James Lavelle ed il suo socio
Richard File l’hanno registrato
tra Joshua Tree (gli studi Rancho de la Luna, nel deserto intorno a Los
Angeles) e Londra (ai Surrender Sounds Studios di Lavelle) lavorando in
team con il produttore dei Queens Of The Stone Age Chris Goss e con
collaboratori vecchi e nuovi: Josh Homme (che dei Queens of the Stone
Age è l’uomo tuttofare, la mente eccelsa e inarrestabile), Ian Astbury
(The Cult), 3D (Massive Attack), The Duke Spirit, Autolux, Jeordie White
aka Twiggy Ramirez, Matthew Caws (Nada Surf) e Gavin Clark (Clayhill).
Più che una squadra, uno squadrone d’assalto, poco ma sicuro.
“Please, forgive me”,
sono queste le prime parole del disco, l’intro che precede l’incredibile
furia percussiva di Chemistry, tra staffilate di una chitarra
elettrica suonata tra le rocce e sotto il sole e tensione da fine del
mondo. L’atmosfera che si respira da subito tra le tracce di War
Stories è quella di una potente desert session tra rock (con tanto
di icone come Ian Astbury, protagonista assoluto del singolo in odore
morrisoniano Burn my shadow) ed elettronica, incluse virate
disco-punk (Restless, cantata da Homme ed esaltata dai synth di
Pablo Clements) e spiragli su quello che potrebbero riservarci
nell’immediato futuro i Massive Attack (i colori ambient di Twilight).
Rispetto a Psyence
Fiction (l’esordio del 1998 con l’impronta hip-hop di DJ Shadow) e
a Never Never Land (2003) prevale un uso di strumenti
suonati dal vivo che spinge verso una maggiore immediatezza, una
sobrietà compositiva che si profila a tutti gli effetti come un nuovo
corso del marchio inglese: il linguaggio si evolve, l’architettura
sonora è solida come sempre ma non rinuncia all’uomo, agli spazi
naturali. C’è polvere in Mayday, metallo in Persons &
Machinery, muri scrostati in Lawless. Altri sarebbero
annegati con molto meno in iperboli progressive, in onde lunghe di
autoreferenzialità. Qui invece c’è grande musica, la migliore ascoltata
in questo primo scorcio del 2007, insieme a Year Zero dei
Nine
Inch Nails. Lascia a bocca aperta anche il packaging cartonato del disco
che nella limited edition contiene un secondo cd con le versioni
strumentali dei brani di War Stories ed un ricco booklet di 50
pagine con illustrazioni firmate da 3D.
Intervista a James lavelle (italiano)
James Lavelle interview
www.unkle.com
Nino G. D’Attis
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