Il primo singolo è il
blues del “senza fica” (No Pussy blues), dedicato ai disgraziati
che sprecano tempo (e fiori, frasi d’amore, inviti a cena, litri di
docciashampoo e dopobarba al mix di legno d’ulivo, mirra & foglie di
tabacco) dietro alla stronza di turno che tanto non gliela darà mai.
Ruvido Nick: tema antico quanto il mondo, ma pur sempre attuale. Tanto
vale dire le cose senza peli sulla lingua: è capitato all’impiegato del
catasto, al vostro barbiere di fiducia, a voi stessi (che tutte le
mattine siete lì a ripetervi il mantra: “Sono figo, entro stasera di
sicuro me la faccio perché io sono figo!”) ma anche a lui, che di donne
ne ha viste a Melbourne, a Londra, a Berlino e anche in Brasile.
Il poeta invasato di
From her to eternity (quando ancora faceva a coltellate con la
sua storica fiamma Anita Lane) e delle famigerate Murder ballads
(duplice flirt con Kylie Minogue e P.J. Harvey), lo scrittore del
devastante romanzo faulkneriano E l’asina vide l’angelo, ha
riunito tre vecchi amici (il violinista Warren Ellis, il batterista Jim
Sclavunos e il bassista Martyn Casey) per dare vita a una nuova creatura
parallela ai Bad Seeds. Atmosfere da bar per rovinati cronici (dalla
vita, dalla fica, dalla legge e da ciò che si pone aldilà della legge),
canzoni adatte a paesaggi desertici, a dialoghi improvvisi tra un
ubriaco e la luna (due perle in tal senso sono
Electric Alice e
la ballata strappacore When my love comes down, conosciuta anche
come Vortex).
Grinderman, in
italiano sarebbe l’arrotino, ma il termine, mutuato dal titolo di una
canzone di Memphis Slim del 1941 (Grinder man blues) portata al
successo da John Lee Hooker, fa riferimento a sfregamenti sessuali senza
troppi convenevoli. Discorso interessante, se si guarda al sound sporco
di un album nato pressoché di getto (tra i Metropolis ed i RAK Studios
di Londra con la supervisione del produttore Nick Launay), volutamente
“live”, quasi senza ripulire le sbavature. Cave ed Ellis erano impegnati
con la colonna sonora del film The Proposition, diretto da John
Hillcoat su sceneggiatura dello stesso Cave, quando il progetto è
entrato nella fase embrionale. Già il primo degli 11 brani, Get it on
è un manifesto che abbraccia da solo le forme scarne del blues e del
rock’n’roll prima dell’era digitale, quindi la filosofia a bassa fedeltà
di Jon Spencer: suona senza fermarti troppo a riflettere, mettici
rabbia, frustrazioni e sudore perché è questo che ti separa dal resto
della merda senz’anima spacciata oggigiorno per musica.
Oltre a sfoggiare un
paio di baffoni western che, insieme all’incombente stempiatura, lo
rendono simile ad uno dei villains cari a
Cormac McCarthy, Nick canta e
suona la chitarra elettrica, il piano e l’organo. E rispetto alle prove
siglate insieme ai Bad Seeds, si avverte uno sforzo creativo comune, più
da gruppo vero e proprio che da gregari al servizio di un frontman/compositore.
Lo senti in Go tell the women e in Man in the moon:
polvere che raschia la gola, bottiglie vuote, ispirazione a mille e
nessuna concessione alle mode del momento.
Un passo più
convincente rispetto alle ultime incisioni (Nocturama del 2003 e
il doppio Abattoir Blues/The Lyre of Orpheus pubblicato nel
2004): rimossa la patina da crooner con l’orchestra, il rock’n’roll dei
Grinderman fa ritrovare all’ascoltatore il Cave inquieto delle origini.
Quante stelle a questo dischetto? Un firmamento, ragazzi. Un firmamento!
(J.R.D.)
www.myspace.com/grinderman
http://www.nickcave.it/grinderman/
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