Anno
pesante, il 1980: accade che una band inglese scelga di presentarsi al
pubblico
con un nome e un album omonimo destinati a raccogliere legioni di fans ed
eredi almeno quanto i P.I.L. di John Lydon e il loro
Metal Box. Influenze fatali, chiedete un parere agli Skinny
Puppy, ad Al Jourgensen e ai suoi Ministry oppure a Mr. Nine Inch Nails
Trent Reznor. Chiedete a Dave ‘Prezzemolino’ Grohl, batterista ospite nel
lavoro più recente della ditta Killing Joke.
Tosto, il 1980. Come il sound di corpi percossi da lastre metalliche che fa
da tappeto agli sproloqui marziali del cantante/tastierista
Jeremy Coleman, in arte Jaz. Gli altri elementi
dello Scherzo che Uccide sono Paul Ferguson (batteria), Kenneth Walker,
a.k.a. Geordie (chitarra) e soprattutto il picchiatello Youth, al secolo
Martin Glover (basso), più tardi nostromo della
trance psichedelica made in U.K. dopo un periodo da barbone concionante
(nonché sazio di chissà quale cibo per la mente) alle fermate della
metropolitana londinese.
A
scoprire il quartetto, fresco di 10” autoprodotto con tre brani (Nervous
system, uscito nel novembre del 1979 e oggi rarissimo) è il solito
John Peel che si affretta a tesserne le lodi
dai microfoni della BBC. La fama non si fa attendere: tutti pigiati in
qualche club per ascoltare queste mitragliate di poesia del disordine
imbevuta di cupo sarcasmo difensivo. C’è il funk, nei Killing Joke. Ci sono
tracce di dub, come pure di certo kraut rock. C’è un brano dal titolo
Bloodsport che deve essere piaciuto parecchio a gruppi oggi in voga (!!!
e LCD Soundsystem) e un altro, The Wait che sembra un bizzarro
incrocio tra i Cure e gli Ultravox.
È
un suono grigio, matematico, incombente che ti stringe all’angolo mettendoti
in condizione di esorcizzare paure, frustrazioni, scenari disastrosi. È un
suono da distopia definitiva, da turbe mentali esposte alla luce del giorno
come corpi NON estranei al quotidiano. Orrore metamorfico. Deliberata
nevroticità. Trauma di una società-purgatorio messa a nudo, costretta a
mettere in mostra tutto il suo fallimentare narcisismo.
“Epocale” e “Disturbante” sono termini abusati ma – non ho dubbi -
sostanzialmente ancora validi per dare le giuste coordinate ai più piccini.
Un vecchio conoscente di chi scrive porta una cicatrice sentimentale legata
all’epoca e al disco di cui stiamo parlando: «Rafè, tu sì scemu!» gli disse
la sua ragazza dopo aver ascoltato i primi 40 secondi di Requiem e
prima di piantarlo per un tipo che studiava da geometra e ascoltava gli Yes
e i Jethro Tull (Bleeeeeeaaargh!).
Fidanzati da tre mesi: un’eternità, se hai solo quindici fottutissimi anni.
A parte questo dettaglio davvero irrilevante, Raffaele non era scemo. Figlio
di usurai fascisti (padre indagato per concussione) e quasi del tutto
contrario all’igiene personale, ma non scemo. Figlio degenere: punk prima di
molti altri giù nella provincia di Brindisi, una cassa piena di fanze,
spillette, spilloni e vinili di Iggy Pop, Germs,
Dead Kennedys, Crass e altri tesori che ancora oggi dovrebbero costituire la
base sulla quale edificare l’educazione di tutti i fanciulli e le giovinette
del mondo.
Tornano per questo utili le ristampe Virgin/Emi di Killing Joke
(1980); What’s this for...(1981); Revelations (1982); “Ha”
(1982, registrato dal vivo); Pandemonium (1994) e
Democracy (1996). Utili e abbordabili,
grazie a un prezzo intorno ai 12,50 € che non fa sentire la stessa puzza di
lercia furbata delle nuove edizioni dei titoli di
Brian Eno (fateci caso: sono spariti dalla circolazione i correlativi
in nice price). Tra le chicche unite agli 8 brani originali dell’esordio ci
sono un paio di versioni di Change, retro del singolo Requiem,
poi due rough mix inediti di Primitive e Bloodsport. Il lavoro
di remastering, coordinato da Nigel Reeve ed eseguito agli Abbey Road
Studios di Londra da Steve Rooke è eccellente, a grande vantaggio delle
ritmiche e della voce psicotica di Coleman.
Ricevuto il messaggio?
Classificare sotto la voce “Indispensabile”.
(J.R.D.)
www.killingjoke.com |